Affondano le radici nell’antica Grecia quelli che oggi chiamiamo Dazi e che rappresentano una delle più antiche forme di protezionismo verso la produzione interna di una Polis, di un Comune e, via via, di uno Stato.

Ogni Paese, nel corso della storia, li ha imposti per garantire sopravvivenza e tutela ai propri asset produttivi. La Confederazione elvetica, nel XX secolo, mantenne una politica doganale relativamente liberale, regolando nel 1972 l’import-export di libero scambio tra la Svizzera e l’Unione europea. Nel 1999 e nel 2004, a cambiare la rotta, sono stati gli accordi bilaterali I e II, con la relativa modifica di gennaio 2024 che ha abolito i dazi doganali sulle importazioni di prodotti industriali per rafforzare la piazza economica e industriale svizzera. Un impegno verso il libero scambio che, oggi più che mai, potrebbe favorire il Made in Italy.

Donald Trump e il valzer delle percentuali

Annuncia il 10, impone il 30, si apre a trattare. Secondo i più quotati economisti, l’azione di Donald Trump verso i prodotti Made in UE, potrebbe soffiare sull’export limitandone l’approdo negli USA e favorendone l’espansione verso mercati alternativi. Venendo al caso del Made in Italy il conto è presto fatto. Il valore dell’export italiano nel 2024 in Euro ammontava a 623.5 miliardi euro, solo il 10,3% del quale (circa 64,8 miliardi) destinato agli USA. Guardando però all’export verso i Paesi limitrofi nell’Unione Europea, emerge che l’Italia ha esportato verso:

  • Germania 71 miliardi di euro
  • Francia 62,3 miliardi di euro
  • Spagna 34.5 miliardi di euro
  • Svizzera 30.1 miliardi di euro

Per il Made in Italy la Svizzera rappresenta il quinto partner commerciale mondiale e potrebbe scalare la classifica se, il primo agosto, le trattative UE-USA non avessero dato i risultati sperati.

Va anche ricordato che, oltre alla Convenzione AELS e all’accordo di libero scambio con l’Unione europea, la Svizzera oggi dispone di una rete di 34 accordi di libero scambio con 44 partner. Una vera e propria strategia commerciale e diplomatica che l’ha posizionata come l’hub commerciale strategico nel cuore dell’Europa. Un punto nevralgico nel quale convergono attività economiche, logistiche e di distribuzione che vedono l’Italia tra i Paesi più presenti. 

I dazi USA in Svizzera: il peso piuma di un colosso

Secondo quanto affermato dall’economista svizzero Mathias Binswanger della FHNW è possibile che anche la Svizzera subisca un certo contraccolpo dall’imposizione dei Dazi USA sui prodotti Made in Switzerland, ma è altrettanto probabile che, in larga parte, la sensibile variazione dei prezzi e dei costi derivante, sarà percepita in modo solo marginale dal consumatore finale. L’obiettivo di una eventuale imposizione di dazi USA, secondo Binswanger, potrebbe avere uno scopo preciso: spingere le aziende ad investire di più negli USA e produrre lì. I settori più colpiti sarebbero l’industria chimica e farmaceutica – i principali settori di esportazione elvetici verso gli Stati Uniti. Tuttavia, l’economia americana non è in grado di produrre questi beni a breve termine quindi i “rischi” sono quanto mai sfumati.

Mentre il dollaro USA arranca in un sistema che deve fronteggiare trilioni di debiti e la zona euro inciampa nella diffusa recessione, il franco svizzero guadagna il 10%, anche nel mercato “risk-on”. Ad ammettere la stabilità della moneta elvetica è la stessa Bank of America che, quando ne parla, fa riferimento alle solide fondamenta del modello svizzero che, per l’economia globale, fa rima con sicurezza e stabilità. Il franco svizzero, quindi, non emerge solo come una valuta forte ma riceve un voto globale di fiducia nei sistemi economici considerati trainanti come quelli degli Stati Uniti.

 

 

 

 

 

 

 

 

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