La Rivista

Aprile - Giugno 2025 n. 02 - Anno 116 L’Italia nel cuore… ma non sul passaporto? Approvata la legge che suscita le proteste degli italiani all’estero Pag 89-96 Il Mondo in Camera

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Giangi Cretti Direttore gcretti@ccis.ch La Rivista Editoriale so di cittadinanza”, in presenza di una “stortura” che “potenzialmente rende i richiedenti di cittadinanza più numerosi degli abitanti in Italia”, ha messo mano alla legge, riformandola. E lo ha fatto con procedura d’urgenza. Con un decreto ministeriale rapidamente convertito in legge. In tal modo, sostanzialmente azzerando le consultazioni, il dibattito, il confronto parlamentare. Ecco, dunque, che il metodo a cui si è fatto ricorso ha immediatamente innescato lo scontro - che solo l’imbarazzo, la superficialità o, peggio ancora, la sudditanza partitica può imbrattare come ideologico – di cui, primi fra tutti, hanno approfittato i cultori della dietrologia che si sono prontamente interrogati: cos’è successo nei primi mesi di quest’anno da giustificare cotanta urgenza? Le risposte al quesito che sono circolate inducono a pensare che, se fossero fondate, la realtà avrebbe superato la più fervida fantasia. Ma al di là dei motivi, veri presunti o pretestuosi, che ne spiegherebbero l’urgenza, è l’esito di tale procedura che ha creato disorientamento e preoccupazione al di fuori dei patri confini in tutti quei Paesi dei due emisferi, dove i connazionali hanno cercato e trovato (e ancora cercano e talvolta trovano) accoglienza e opportunità per una vita decorosa e dignitosa. Infatti, se, per quanto riguarda la trasmissione della cittadinanza jure sanguinis, condivisibile è il fatto che la legge ponga un tetto all’ascendenza, fissandolo a due generazioni (ai nonni per intenderci), in un articolo, il 3 bis, la nuova legge introduce condizioni che palesemente penalizzano gli italiani emigrati. Stabilendo, retroattivamente, che, sempre al fine della trasmissione della cittadinanza italiana, un genitore o un nonno debba aver risieduto per almeno due anni continuativi in Italia, si tende a colpire quasi totalmente la discendenza di chi è emigrato Oltreoceano. Avventura che sappiamo intrapresa principalmente tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo. Al contempo, Introducendo come possibile alternativa (come ulteriore paletto?) che un genitore o un nonno debba essere esclusivamente cittadino italiano, esautora soprattutto buona parte degli emigrati stabilmente residenti in Europa o negli Stati Uniti, che sono anche doppi cittadini. Condizione questa che interessa almeno il 60% degli italiani che vivono In Svizzera. La retroattività della legge (sulla cui costituzionalità sono già stati inoltrati ricorsi e avviate puntuali verifiche) unita ai due requisiti appena menzionati, ha determinato una reazione di forte dissenso fra le comunità in giro per il mondo. Accanto a quelle di alcuni parlamentari eletti all’estero – non tutti riconducibili ai partiti d’opposizione - e degli organismi di rappresentanza, Comites e CGIE, emergono sempre più consistenti la preoccupazione, la contrarietà e le proteste degli italiani all’estero, i quali si vedono in prospettiva drasticamente e improvvisamente limitata la possibilità di trasmettere automaticamente la cittadinanza ai propri discendenti. Eccezioni la nuova legge ne prevede, ma tutte circoscritte ad un orizzonte temporale di un anno. Dopo di che bisognerà attendere una nuova riforma di legge. Nel frattempo, oltre che all’eventuale incostituzionalità, ci si appiglia, oltre a qualche accorgimento tecnico in fase di applicazione, alle affermazioni del Ministro Tajani, che ricorda come il Parlamento sia sovrano e sia quella la sede dove si legifera, o del Presidente della Repubblica, che comprende lo “spaesamento” di chi vive fuori d’Italia e si mostra ricettivo a considerazioni che aiutino a “riconsiderare la legge”. Che comunque ha autorevolmente firmato. L’impressione prevalente è che tutti siano disposti ad ammettere che la legge approvata sia “perfettibile” e “migliorabile”. In molti fortemente lo auspicano. Anche se allo stato attuale chi la legge l’ha approvata, la maggioranza del Parlamento, ritiene sia bene che venga applicata. Almeno per tutto il tempo necessario a “normalizzare” la situazione, rimediando a quelle “storture” a cui abbiamo fatto cenno in precedenza. Quando il rimedio è peggio del danno. Ovvero: “xe péso el tacon del buso”, come direbbe un padovano. Credo si possa convenire. Senza ostentare troppe frizioni o indugiare in oziosi distinguo: una ridefinizione della normativa che regola la trasmissione della cittadinanza italiana jure sanguinis (per discendenza) - da tempo vagheggiata e puntualmente rimandata per non scontentare una volta gli uni, l’altra volta gli altri -, era opportuna. Per più di una ragione. Evitare che, senza porre un tetto all’ascendenza, noi cittadini italiani all’estero, ci si ritrovasse, sempre più numerosi, tutti discendenti di Giuseppe Garibaldi, oppure, a latitudini diverse, di Cristoforo Colombo, Ferdinando Magellano o persino di Giulio Cesare. Eternamente, automaticamente italiani. Porre fine ad un mercimonio, ormai appurato e dilagante, appannaggio di coloro che, portafogli alla mano, la cittadinanza se la potevano comprare. Bypassando, va da sé, un iter amministrativo impossibilitato a far fronte a richieste che, in sempre più casi, sono pendenti da anni. Creare i presupposti per una cittadinanza, che oggi si vorrebbe consapevole, espressione della volontà più che del bisogno, in cui siano riconosciuti e riconoscibili indelebili diritti al pari di altrettanti imprescindibili doveri. Stabilire requisiti – uno di questi senza dubbio la competenza linguistica - in grado di identificare un nesso tangibile e misurabile fra cittadinanza e appartenenza identitaria. Fin qui, dettagli a parte, un approccio condivisibile. Poi succede che il Governo, ritendo che “i tempi fossero maturi” – perché si rischiava “lo svuotamento del senso stes-

SOMMARIO 24 1 Editoriale 4 Italiche Le Pmi e i dazi americani 7 Elvetiche L’economia globale che rallenta e la Confederazione che si difende 10 Europee Il tempo degli accordi 13 Geopolitiche Il Pontificato di Leone XIV: Un Nuovo Capitolo per la Chiesa e il Mondo 16 Novità in Gazzetta Ufficiale 19 Angolo Legale Presenza fisica e residenza fiscale: un incrocio pericoloso Criticità e spunti dalle nuove norme italiane, in prospettiva italo-elvetica 22 Primo Piano Cittadinanza Italiana: Approvata con procedura d’urgenza la legge che suscita le proteste degli italiani all’estero In Copertina L’Italia nel cuore… ma non sul passaporto. Approvata la legge che suscita le proteste degli italiani all’estero 26 l'Intervista con Con Gian Lorenzo Cornado Ambasciatore d’Italia in Svizzera e Principato del Lichtenstein 31 Anniversari 1965-2025: a 60 anni dalla tragedia In ricordo delle 88 vittime (56 italiani) di Mattmark 36 Il bel Paese La “piccola Versailles” che ammaliò il Leopardi 41 Elefante invisibile Il lupo cattivo1 ha sempre ragione? 44 Donato Sperduto: Così parlò Barbarossa 45 La lingua batte dove… Casa 48 Visioni del Tempo L’Orologio che Esita 52 A Venezia fino al 6 gennaio 2026 Robert Mapplethorpe. Le forme del classico 56 A Basilea l’anteprima esclusiva della 30° edizione di miart 2026 57 E Parigi fu: D&G conquistano la capitale francese 58 Locarno 78 dal 6 al 16 agosto 2025 Aspettando il Festival 63 2026 della RSI: una sola sede, tagli e nuovi programmi 64 Tele-visioni L’Eurovision Song Contest: un’occasione unica per rafforzare l’immagine della Svizzera e del suo servizio pubblico radiotelevisivo ccis.ch/la-rivista Sergio Ermotti ospite della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera La Rivista · Aprile - Giugno 2025 2

Paolo Basso eletto presidente dell’Associazione Svizzera dei Sommelier Professionisti (ASSP) 82 Editore - Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Direttore - Giangi CRETTI Art Director - Marco DE STEFANO Collaboratori C. BIANCHI PORRO, V. CESARI LUSSO, M. CIPOLLONE, D. COSENTINO, L. D’ALESSANDRO, R. DE ROSA, N.FIGUNDIO, G.SORGE, M. FORMENTI, P. FUSO, T. GAUDIMONTE, T. GATANI, R. LETTIERI, F.MACRÌ, P.MEINERI, V. PANSA, N.TANZI, L.TERLIZZI Redazione Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Dolderstrasse 62 - 8032 Zurigo Tel. +41(0)44 289 23 23 www.ccis.ch /la-rivista larivista@ccis.ch Pubblicità Marco DE STEFANO Dolderstrasse 62 - 8032 Zurigo Tel. 0041(0)44 2892319 E-mail: mdestefano@ccis.ch Abbonamento annuo Chf. 40.- Estero: 50 euro Gratuito per i soci CCIS Le opinioni espresse negli articoli non impegnano la CCIS. La riproduzione degli articoli è consentita con la citazione della fonte. Periodico iscritto all’USPI (Unione Stampa Periodica Italiana). Aderente alla FUSIE (Federazione Unitaria Stampa Italiana all’Estero) Appare 4 volte l’anno. Stampa e confezione Nastro & Nastro srl 21010 Germignaga (Va) - Italy Tel. +39 0332 531463 www.nastroenastro.it 66 Note Italiane 68 Funk elettronico di stampo italiano 70 La Dieta Rivista Chetogenica vs. Mediterranea: davvero serve scegliere da che parte stare? 72 PrimAnteprima, l’evento che ha aperto la Settimana delle Anteprime di Toscana 2025 Chianti classico e Chianti classico collection Chianti Lovers & Rosso Morellino Vino Nobile di Montepulciano 2025 L’altra Toscana Il “Valdarno di Sopra Day”, buona la prima 78 FChiusa con grandi numeri la 57ª edizione di Vinitaly 2025 83 Lo stivale regionale dei Formaggi d’Italia: La Sicilia 89 Il mondo in Camera • Dazi Usa: le CCIE in Europa unite a supporto dell’export Made in Italy • Forum Industriale Italo Svizzero: torna il ponte strategico per il settore MEM • Nuovo accordo Promos Italia: un booster all’internazionalizzazione • Nasce il Geopolitics Network Group • Eventi in programmazione La Rivista · Aprile - Giugno 2025 3

Giovanni Foresti, Responsabile dell'Analisi Territoriale presso la Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, ha delineato gli aspetti rilevanti che maggiormente interessano le medie e piccole imprese italiane nel loro sforzo di internazionalizzazione dei mercati, dopo la vicenda dei dazi americani che hanno perturbato lo scenario economico. Le Pmi e i dazi americani di Corrado Bianchi Porro fine tra contrazione/recessione ed espansione. Evidentemente, rimarca Foresti, il comparto soffre di una scarsa crescita congiunturale con rallentamento dei consumi e – conseguentemente – dell’offerta, dato che il rincaro dei prezzi dell’energia ha spiazzato lo scorso anno anche il mercato tedesco. Alla vigilia dei dazi, il settore dei servizi si trovava ancora in netta espansione (vedi il caso emblematico del turismo), mentre maggiori difficoltà riscontrava il ramo manifatturiero, che si ritrovava al di sotto della fatidica soglia dei 50 punti che segna il conLa Rivista Italiche Giovanni Foresti e la tabella dell’incidenza dell’export regionale verso gli Stati Uniti La Rivista · Aprile - Giugno 2025 4

Oggi però i motivi congiunturali vengono meno, l’inflazione è in calo e in discesa si ritrovano anche i tassi d’interesse, con l’ultimo taglio del costo del denaro effettuato dalla BCE ai primi di giugno. Gioca evidentemente a sfavore il trend demografico e la minor dinamica degli investimenti. La manovra americana sui dazi ha in effetti aggiunto incertezza, con una prospettiva tendenziale di incremento delle tariffe del 10-11% per le merci denominate in euro, rispetto al 2,5% del periodo precedente, una volta cancellati i dazi reciproci. Le previsioni di incremento per il Pil dell’Italia per quest’anno si aggirano intorno allo 0,7%, pur se il primo trimestre dell’anno non è andato poi così male, grazie all’accelerazione dei programmi legati al PNRR. L’Italia è cresciuta mediamente più di quella europea nell’ultimo periodo. In particolare, nel 2025 anche a motivo della decrescita demografica e del minor costo della vita, a parità di potere d’acquisto, l’Italia ha raggiunto la Francia in termini di Pil pro capite. Dalla fine del 2019 il Pil italiano è cresciuto del 5,5%, rispetto al 4,1% della Francia e allo 0,2% della Germania, come ricordato dal governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta alla Giornata del Risparmio. Ci sono evidentemente ritardi da recuperare, ma dopo la crisi del decennio scorso, il sistema produttivo ha attraversato un profondo e doloroso processo di ristrutturazione e le imprese ne sono uscite rafforzate per reggere la maggiore pressione competitiva della Cina sui mercati internazionali. Diversificare i Paesi di sbocco Come reagire? Con una politica monetaria favorevole sul costo del denaro, mediante gli investimenti strutturali nelle infrastrutture permesse dal PNRR, grazie a uno snellimento delle restrizioni fiscali per un rilancio in filiera come avviene in Germania che rappresenta per noi sempre una locomotiva e intercettando le prospettive di crescita e di interscambio dei mercati in espansione come il Medio Oriente e Arabia Saudita, India, nord Africa, Paesi Asean, Turchia e sud America. Occorre diversificare i Paesi di sbocco. Si ricorda a questo proposito che l’incidenza dell’export verso gli Stati Uniti per le regioni italiane soggette alle incertezze sui dazi sono in primo luogo la Toscana con l’8,1%, l’Emilia Romagna col 6% e il Friuli Venezia Giulia al terzo posto con il 5,6%, mentre mediamente l’Italia è esposta all’export verso gli Stati Uniti col 3,3%, la Lombardia è al 3,1% e il Lazio all’1,6% come la Campania. La regione meno toccata è invece la Calabria con lo 0,2%. Insomma: gli indicatori non sono elevati nell’incidenza dell’export verso gli USA. Queste sono naturalmente le medie regionali, ma all’interno delle varie province si trovano variabili assai diverse. Per esempio, Como è esposta per il 6,7%, Lecco per il 7,3% e Varese per il 7,6%. A questo punto può essere opportuno studiare la possibilità di aprire filiali negli Usa e comunque puntare sulla qualità e l’innovazione di prodotto che meno risente dell’effetto Matteo Faggin (Smact), Claudia Sandei (Uni Padova), Alex Curti (ComoNEXT) nella sede di Confindustria La Rivista · Aprile - Giugno 2025 5

sui prezzi più elevati rispetto alla concorrenza. È necessario per un cambio di passo puntare sui brevetti e l’innovazione. La quota % dei brevetti sul totale mondiale per Paese vede oggi primeggiare la Cina col 23,8% che erano al 4% fino al 2010 che ha superato gli Stati Uniti fermi al 21,5% mentre dieci anni fa erano al 31%. In quindici anni è cambiato dunque il mondo. Al terzo rango troviamo il Giappone col 18,4%, l’UE è al 17,3% mentre era al 28% dieci anni prima, la Corea del Sud al 7,5%, la Germania al 6,3%, la Francia al 2,7%. Più in basso ancora troviamo il Regno Unito col 2,%, la Svizzera col 2%, la Svezia con l’1,5% assieme ai Paesi Bassi, mentre l’Italia è all’1,3% e il Canada all’1%. Come si vede, nella formazione del personale e nella ricerca e sviluppo c’è ancora molto da fare, grazie alle innovazioni e alle possibilità che oggi offrono la digitalizzazione e l’Intelligenza artificiale. Non aver paura dell’intelligenza artificiale Secondo Matteo Faggin, direttore generale di SMACT Competence Center delle Università del Triveneto, la tecnologia “emergente” può concretamente aiutare le piccole e medie imprese e non bisogna aver paura dell’intelligenza artificiale. In effetti, anche se magari non ne siamo consapevoli già la utilizziamo nelle nostre imprese. Infatti, il 45,4% delle imprese italiane la utilizza nelle tecnologie 4.0 nella archiviazione, trasmissione e analisi dei dati e il 42,1% mediante la robotica. Per non esaurire le risorse, il 36,3% si serve del Cloud Computing. Ovviamente c’è bisogno della Cyber Security per non correre il rischio di impasse per il 28,9 delle imprese, mentre la tecnologia più immediata che viene in mente è quella dei magazzini automatizzati, di cui avvertiamo il bisogno, tra l’altro, negli acquisti ai supermercati o in farmacia (24,2%). Quello di cui si avverte la mancanza è l’integrazione di tutto questo. Per esempio, con le stampanti 3D, la Blockchain e la tracciabilità (12,1%), l’Intelligenza artificiale collegata al sistema (12%), l’internet of Things, la gestione Bigdata (5,8%), la Realtà aumentata per farne esperienza diretta (4,4%), i Sistemi di interazione Uomo/Macchina (3,1%), il Digital Twins e Simulazione (2,9%), fino alle nanotecnologie specifiche per determinate imprese, per esempio per sperimentare i punti di rottura e ridurre gli scarti (1,3%). Insomma: memori dei cicli di Kondriatieff, dobbiamo ricordarci che i trend non si esauriscono in cinque anni, ma richiedono tempi pervasivi su tutto il sistema di medio periodo che arrivano a 20 anni. Non si tratta di fare una gara di 100 metri, ma una maratona che deve innescare tutto il sistema come fa il sangue nel corpo umano per raggiungere ogni periferia, con la necessità primaria di una formazione adeguata con percorsi differenziati per tutto il personale della azienda, liberandolo non dal lavoro, ma dai compiti ripetitivi, pericolosi ed evitando gli errori comuni che hanno limitato la capacità delle aziende di stare al passo con l’evoluzione dei vari mercati. Nella tabella proiettata durante il convegno Due convegni con ISPI- Intesa San Paolo e Confindustria Como. La Rivista Italiche La Rivista · Aprile - Giugno 2025 6

Sulla crescita mondiale il peso di geopolitica, conflitti bellici e dazi Anche la Svizzera frena, ma ancora una volta tiene meglio di altri. L’economia globale che rallenta e la Confederazione che si difende di Lino Terlizzi politiche, compresi purtroppo i conflitti bellici, in particolare in Ucraina e in Medio Oriente; la cosiddetta guerra dei dazi. Prendiamo qui in considerazione le previsioni che il Fondo monetario internazionale ha pubblicato alla fine di aprile, tre settimane dopo l’annuncio del presidente Trump sull’ondata di dazi USA. Secondo l’FMI, il Prodotto interno lordo (PIL) mondiale è cresciuto del 3,5% nel 2023 e del 3,3% nel 2024; nel 2025 dovrebbe crescere del 2,8% e non nuovamente del 3,3% come previsto in gennaio. L’OCSE dal canto suo ha pubblicato all’inizio di giugno un aggiornamento delle sue previsioni, indicando queste cifre per la crescita mondiale: 3,4% per il 2023, 3,3% per il 2024, 2,9% per il 2025 (non più 3,1% come indicato in marzo). La Banca mondiale infine ha a giugno aggiornato in questo modo le sue cifre sulla crescita economica globale: 2,8% nel 2023, 2,8% nel 2024, 2,3% nel 2025 (non più 2,7% come indicato in gennaio). Se l’aspetto positivo, come detto, è l’assenza di previsioni di recessione annua mondiale - l’ultima recessione globale è stata quella del 2020, anno dell’esplosione della pandemia - l’aspetto negativo è invece che la pur notevole resilienza di molte economie non permetterà di evitare un ulteriore rallentamento internazionale. Va ribadito che quello indicato Il ritmo degli avvenimenti è talmente elevato da rendere ancora più difficili del solito le previsioni economiche. Considerando i dati disponibili sino al 20 giugno scorso si può comunque tentare di almeno delineare una possibile crescita economica internazionale in questo complicato 2025, con l’avvertenza che i margini di eventuale cambiamento sono appunto più ampi rispetto ad altre fasi. In questo tentativo di abbozzare uno scenario prendiamo come basi le previsioni pubblicate sino a metà anno da tre istituzioni economiche di primo piano: Fondo monetario internazionale (FMI), Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), Banca mondiale (BM). Il quadro internazionale Il primo elemento che balza all’occhio è che secondo queste rilevanti istituzioni la crescita economica mondiale quest’anno probabilmente non raggiungerà il 3%. L’FMI e l’OCSE in precedenza avevano indicato una crescita globale di oltre il 3%, la BM invece era già sotto questa soglia ma ha ancora abbassato la sua previsione, avvicinandosi al 2%. Pur senza sfociare in recessione annua, il rallentamento sarà probabilmente marcato. Visto il quadro internazionale, non è difficile indicare le due ragioni principali di ciò: le forti tensioni geoLa Rivista Elvetiche La Rivista · Aprile - Giugno 2025 7

è lo scenario di base e che le cifre potrebbero migliorare o peggiorare a seconda delle dinamiche che si registreranno da un lato per le tensioni geopolitiche e i conflitti bellici, dall’altro per i contrasti nei commerci e la guerra dei dazi. Occorrerà vedere alla fine quali accordi commerciali saranno fatti o non fatti, quanti e quali dazi degli USA e delle controparti rimarranno. L’impressione è che comunque a un certo grado di aumento dei dazi non si sfuggirà, vista la linea dell’Amministrazione Trump. Ovviamente è auspicabile che non si tratti di un maxi aumento. Il fardello e gli USA Ipotizzando uno scenario intermedio come quello indicato da FMI, OCSE, BM, i danni in termini di minore crescita economica non sarebbero enormi ma neppure indifferenti. Rispetto a quella registrata nel 2024 la crescita mondiale indicata per l’intero 2025 è inferiore di 0,5 punti percentuali per FMI e BM e di 0,4 punti per l’OCSE. Essendo il PIL mondiale nominale a valori 2024 stimato in circa 110 mila miliardi di dollari USA, ne consegue che 0,5 punti di minore incremento sono circa 550 miliardi di dollari di minore crescita economica nel 2025. La buona notizia è che, se le cose andranno come prevedono FMI, OCSE, BM, il Prodotto interno lordo mondiale dovrebbe aumentare di una cifra compresa tra 2.500 e 3.200 miliardi di dollari, nonostante tutto. Ma la cattiva notizia è che la cifra finale dell’aumento poteva essere appunto di almeno 550 miliardi più alta e che questi soldi in più probabilmente non ci saranno a causa di una geopolitica così pesante e dei contrasti nei commerci. Se fosse possibile in teoria anche solo andare alla stessa, contenuta velocità del 2024, ebbene l’aumento del PIL quest’anno sarebbe ben più sostanzioso. Proprio gli Stati Uniti saranno tra i Paesi che più ci rimetteranno. Per l’FMI la crescita dell’economia numero uno nel 2025 sarà all’1,8%, contro il 2,8% del 2024; l’OCSE per quest’anno indica 1,6%, la BM 1,4%. La Cina, seconda economia mondiale, pure dovrebbe frenare; per l’FMI dovrebbe registrare quest’anno un 4%, contro il 5% dell’anno scorso; per l’OCSE la crescita cinese nel 2025 sarà del 4,7%, per la BM del 4,5%. L’Eurozona, che nel biennio 2023-2024 si è mossa con passo più lento rispetto agli USA, dovrebbe o limitare i danni o avere un lieve rimbalzo; per l’FMI l’area euro dovrebbe registrare quest’anno 0,8%, contro 0,9% l’anno scorso; per l’OCSE invece dovrebbe avere 1% nel 2025, contro 0,8% nel 2024; per la BM nell’Eurozona dovrebbe esserci 0,7% quest’anno, contro 0,9% l’anno scorso. La resilienza elvetica In tutto questo, la Svizzera ha confermato sin qui il suo buon grado di resilienza. Se è vero che a livello internazionale ci sono molte nubi scure e che queste non possono non incidere in una certa misura anche sulla Confederazione elvetica, è altrettanto vero che occorre anche guardare alla buona capacità di tenuta economica che ancora una volta sta emergendo dall’economia svizzera. Per l’FMI la Svizzera dovrebbe passare dalla crescita dell’1,3% dell’anno passato ad una dello 0,9% quest’anno. Secondo l’OCSE, il PIL elvetico dovrebbe aumentare invece dell’1,1% nel 2025, sempre dopo l’1,3% del 2024. Parlando di Confederazione elvetica, vale senz’altro la pena di vedere anche cosa indicano la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) e la Banca nazionale svizzera (BNS), che pure hanno fornito in giugno gli aggiornamenti delle loro previsioni. Per la SECO il PIL elvetico al netto degli eventi sportivi (la Svizzera è sede di grandi organizzazioni sportive internazionali) dovrebbe aumentare quest’anno dell’1,3%, dopo l’1% dell’anno scorso. Per la BNS la crescita economica elvetica sarà compresa tra l’1% e l’1,5% quest’anno. Anche la Segreteria di Stato dell’economia e la Banca nazionale svizzera nelle loro previsioni ruotano insomma attorno a una crescita dell’1% per quest’anno. Se così sarà, non si tratterà di una crescita economica su cui brindare, ma non sarà neppure un risultato da buttare. Nel caso, considerando il contesto internazionale, sarà un’ulteriore conferma della resilienza elvetica. Quando si valuta il ritmo della crescita svizzera, bisogna anche L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha pubblicato all’inizio di giugno un aggiornamento delle sue previsioni, indicando queste cifre per la crescita mondiale La Rivista · Aprile - Giugno 2025 8

tener conto del fatto che la Confederazione ha un PIL pro capite già elevato. Dunque per la Svizzera in genere è comunque difficile avere crescite annue con percentuali molto alte. Questo vale anche durante le fasi di espansione internazionale, ma ovviamente vale ancor più nelle fasi di rallentamento economico mondiale, come l’attuale. Il franco forte Naturalmente, quando si parla di Svizzera si parla anche di franco forte. La moneta elvetica ha un trend di fondo all’apprezzamento ed è ancor più richiesta dagli investitori quando le incertezze geopolitiche ed economiche aumentano. Avere una valuta molto robusta presenta sia svantaggi sia vantaggi, ma questi ultimi tendono a prevalere. Tra gli svantaggi ci sono i maggiori ostacoli che deve affrontare l’export (svizzero in questo caso), visto che merci e servizi elvetici sono di fatto più cari per chi li acquista dall’estero. Tra i vantaggi c’è il fatto che l’import svizzero procede più spedito, visto che merci e servizi esteri sono di fatto meno cari; questo, tra l’altro, contribuisce a tenere bassa l’inflazione, come si vede bene nella realtà elvetica. A ciò si può aggiungere che la moneta forte incrementa ancor più l’affidabilità del Sistema Paese e supporta per la sua parte la piazza finanziaria. Tornando all’export, bisogna anche dire che i prodotti svizzeri hanno spesso un valore aggiunto alto, che li rende meno sensibili al fattore valutario. Molte imprese esportatrici elvetiche, inoltre, hanno saputo adattarsi alla valuta forte, anche attraverso una maggiore diversificazione dei prodotti e dei mercati. Dunque la Svizzera è riuscita nel complesso a limitare gli aspetti negativi e ad ampliare invece gli aspetti positivi del franco forte. La Banca nazionale svizzera sul suo versante da molto tempo cerca di frenare l’ascesa del franco, a favore dell’export rossocrociato. In parte c’è riuscita e in parte no. Guardando alla serie storica, si può dire che il grande rafforzamento del franco è stato solo ritardato, non evitato. La BNS in ogni caso ci prova ancora e in giugno ha tagliato nuovamente il tasso di interesse guida sul franco, abbassandolo allo 0%. Dietro questa decisione c’è anche la volontà di non rinunciare al freno sulla valuta. In molti sulla piazza svizzera si chiedono però sino a dove la Banca nazionale possa spingersi. La vicenda della soglia di cambio euro/franco a 1,20, tenuta a lungo e con insistenza ma poi alla fine abbandonata dalla BNS per forza di cose, ha confermato che si può andare contro il mercato solo sino a un certo punto. Se molti investitori, svizzeri ed esteri, continuano a richiedere il franco, diventa difficile se non impossibile attuare il freno. I tassi di interesse Il Sistema Svizzera – che è fatto anche di stabilità politica e sociale, conti pubblici in ordine, economia competitiva – è la base all’attrattività della moneta elvetica. Gli acquisti di valute estere per frenare il franco negli anni scorsi hanno d’altronde già molto gonfiato il bilancio della BNS e farne molti altri sembra molto complicato. Inoltre, attuare altri tagli al tasso guida per trattenere la moneta significa essere nuovamente nel complicato campo dei tassi di interesse negativi. Si è già visto che questi possono avere solo effetti parziali sulla valuta e che nel frattempo creano problemi al settore finanziario e ai risparmiatori. La Svizzera, comunque, nel complesso va, anche con il franco forte. La Rivista Elvetiche Nonostante a livello internazionale si addensino molte nubi scure, che incidono anche sulla Confederazione elvetica, è rilevante la capacità di tenuta economica che ancora una volta sta emergendo dall’economia svizzera. La Rivista · Aprile - Giugno 2025 9

Ha tenuto banco in queste ultime settimane nel dibattito politico europeo il piano per la difesa presentato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen al Parlamento dell’Unione lo scorso 11 marzo. Il tempo degli accordi di Viviana Pansa decreti tariffari contestati. Contro la sentenza, emessa alla fine di maggio, la Casa Bianca ha presentato subito ricorso, ribadendo, attraverso la vice portavoce del Presidente Kush Desai, che “non spetta ai giudici non eletti decidere come affrontare adeguatamente un’emergenza nazionale”. La sospensione dei dazi, nel frattempo era già in corso, prevista dallo stesso Trump per 90 giorni. Non si esclude ora che l’iter del procedimento arrivi alla Corte suprema e che, in caso di conferma dell’annullamento dei decreti, l’amministrazione debba rimborsare alle aziende gli importi già versati con gli interessi. Primi impatti del Liberation Day Le conseguenze dei dazi sono però già visibili nei dati diffusi alla fine del mese di maggio dallo US Census Bureau, che ha registrato per il mese di aprile un crollo delle importazioni degli Stati Uniti di circa 70 miliardi rispetto al mese di marzo, mentre le esportazioni sono cresciute di circa 8 miliardi di dollari. Il deficit commerciale americano è così diminuito del 46% ad aprile, rispetto al mese precedente. A subire il crollo maggiore sono state le importazioni dalla Cina, che sono passate dal valore di 41 miliardi di dollari di gennaio, ultimo mese prima dell’imposizione dei nuovi dazi bilaterali, a 25 miliardi di dollari. Meno penalizzata appare Mentre cresce la tensione nel contesto geopolitico mondiale, con il nuovo fronte di guerra aperto dal premier israeliano Benjamin Netanyahu nei confronti dell’Iran, sale anche l’incertezza su quali saranno i possibili effetti sull’economia globale della politica dei dazi imposta dal presidente americano Donald Trump. A ciò si aggiunge anche l’imprevedibilità dei suoi interventi particolarmente aggressivi, ai cui annunci dai toni esagerati seguono repentini ripensamenti o reazioni delle istituzioni democratiche cui è affidato il bilancia mento dei poteri dell’esecutivo. Così, dopo un primo innalzamento delle imposte che ha interessato l’acquisto di acciaio e alluminio, automobili e componenti dell’automotive, la tariffa aggiuntiva per le importazioni di tutti i beni celebrata come Liberation Day il 2 aprile nel giardino delle Rose della Casa Bianca, - e sospesa dopo alcuni giorni per poter procedere con la negoziazione di singoli accordi commerciali, - è stata anche bloccata da una sentenza della Corte per il commercio internazionale degli Stati Uniti in risposta a due cause intentate da aziende e Stati contro questi dazi globali. I giudici federali hanno dichiarato infatti che il deficit commerciale non costituisce una minaccia alla nazione, così come indicato da Trump, vietando l’applicazione dei La Rivista Europee La Rivista · Aprile - Giugno 2025 10

l’Europa, il cui export verso gli Stati Uniti è sceso del 35% in aprile rispetto a marzo, ma resta sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente. La più colpita è la Germania, che ha esportato il 16% in meno rispetto a marzo (e un -8,6% rispetto ad aprile 2024), mentre l’Italia ha per ora contenuto le perdite, con una caduta dell’export del 10% in aprile rispetto a marzo, e -4,4% rispetto ad aprile 2024. Il 4 giugno sono poi raddoppiati i dazi su alluminio e acciaio, un aumento che non interessa il Regno Unito grazie all’accordo commerciale raggiunto lo scorso 10 maggio e che riduce anche al 10% la tariffe imposte sulle automobili, applicata ad una quota di 100 mila veicoli – le esportazioni di auto inglesi negli Stati Uniti raggiungono però mediamente le 120 mila unità. In cambio il Regno Unito si impegna a ridurre i suoi dazi per le merci americane, e da ciò ci si aspetta un forte impatto sul settore agricolo. “Aumenteranno in modo significativo le esportazioni di carne bovina americana, etanolo e praticamente tutti i prodotti dei nostri grandi agricoltori”- ha spiegato il Presidente americano nella conferenza organizzata nello studio ovale per celebrare il primo della serie di accordi commerciali che potrebbero ridisegnare il commercio mondiale. Tuttavia, la promessa di Trump di concludere “90 accordi in 90 giorni” difficilmente sarà mantenuta. Il balletto dei dazi A metà giugno è stata invece annunciata l’intesa con la Cina, che non azzera i dazi ma li riporta a quanto stabilito in via preliminare a maggio – una tariffa del 10% di dazi “universali”, cui si aggiunge un 20% specifico su Pechino motivato dal Presidente americano con il poco incisivo contrasto alla diffusione del fentanyl (tariffa che, per lo stesso motivo, interessa anche Canada e Messico) e il 25% già introdotto da Trump nel corso del suo primo mandato. La Cina riprenderà le esportazioni di magneti e terre rare verso gli Stati Uniti mentre Washington si è impegnata a non sospendere i visti per gli studenti provenienti dalla Repubblica popolare. Appare chiaro dunque che l’intesa si limita a fermare l’escalation tariffaria innescata nelle scorse settimane e che rischiava di danneggiare pesantemente entrambe le economie. Non costituisce dunque una buona premessa per i negoziati con l’Europa, il cui obiettivo sarebbe l’azzeramento dei dazi, mentre l’amministrazione americana punterebbe a mantenere quelli attuali, senza peggioramenti, e con accordi specifici per singoli settori, con l’intento di far aumentare gli acquisti di armi e di gas statunitensi. Il commissario europeo al commercio, Maros Sefcovic, impegnato in queste settimane nelle trattative con il segretario al commercio Usa Howard Lutnick e il rappresentante al commercio Jamieson Greer, si è dichiarato “ottimista” per i progressi fatti sinora e ha definito le discussioni “molto concrete”, ma dall’altra parte lo stesso Lutnick ha detto che l’intesa con Ue sarà probabilmente l’ultima ad essere siglata, definendo Bruxelles “più che spinosa nei colloqui commerciali”. Superare i particolarismi nazionali Il rischio resta quello che gli Stati membri si possano sfilare dalla trattativa comune, negoziando ciascuno le proprie condizioni, cosa che aggraverebbe ulteriormente la frammentazione del commercio globale da cui la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde ha messo in guardia subito dopo aver appreso dell’accordo tra Stati Uniti e Cina. Per Lagarde infatti, “se il commercio globale dovesse frammentarsi in blocchi concorrenti, si contrarrebbe in modo significativo e tutte le principali economie peggiorerebbero”. “Se vogliamo seriamente preservare la nostra prosperità, dobbiamo perseguire soLa presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde mette in guarda sul rischio di frammentazione del commercio globale La Rivista · Aprile - Giugno 2025 11

luzioni cooperative, anche a fronte di differenze geopolitiche” – ha aggiunto la Presidente della BCE, definendo non sostenibili le “politiche commerciali coercitive” perché “hanno molta più probabilità di provocare ritorsioni e portare a risultati reciprocamente dannosi”. E se in questo quadro complesso la crescita economica dell’Eurozona si avvicina allo 0 – almeno nel secondo trimestre di quest’anno, mentre nel primo trimestre il Pil è cresciuto dello 0,3% - anche il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta ha parlato in queste ultime settimane di “una profonda crisi degli equilibri che hanno sorretto l’economia globale degli ultimi decenni”. “L’Unione Europea in questo scenario non può permettersi di restare ferma – ha aggiunto, - ma deve superare i particolarismi nazionali, completare il mercato comune, semplificando - ma non cancellando - le regole che la governano, e creare un mercato unico dei capitali con l’emissione regolare di titoli europei”. Il timore che egli esprime legato ai dazi è che il loro effetto potrebbe sottrarre quasi un punto percentuale alla crescita mondiale nell’arco di due anni, e ridurre il commercio internazionale del 5%. Regno Unito: accordi con gli Usa e riavvicinamento alla Ue In tema di accordi e di Unione Europa, resta da segnalare quello raggiunto con il Regno Unito il 19 maggio scorso e presentato dal primo ministro britannico Keir Rodney Starmer e dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen come un “momento storico” per i rapporti tra le due aree, dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. L’accordo riguarda in particolare il commercio e la difesa ed è la conseguenza diretta del riavvicinamento di Londra a Bruxelles determinato in primo luogo dai cambiamenti del quadro politico internazionale, da cui è maturata la decisione di Starmer partecipare al potenziamento dell’industria della difesa degli Stati UE. L’Inghilterra potrà quindi partecipare al fondo europeo SAFE per progetti comuni nel settore e avrà accesso a contratti di difesa europea. Collaborerà inoltre ad iniziative a sostegno dell’Ucraina. È previsto poi un ampliamento della cooperazione sull’energia, in particolare nelle rinnovabili nel Mare del Nord, per aumentare la sicurezza energetica e sostenere obiettivi climatici comuni. Il Regno Unito riconosce inoltre – per la prima volta in maniera ufficiale – che i controlli doganali reintrodotti a seguito della Brexit hanno penalizzato le esportazioni britanniche verso l’Europa, scese del 21%, e intende recuperare terreno. Nello specifico, in cambio dell’estensione fino al 2038 del diritto di pesca nelle acque territoriali britanniche per le imbarcazioni europee, il governo inglese a ottenuto lo snellimento di controlli e procedure doganali, attraverso cui prevede di riguadagnare circa 10 miliardi di interscambio entro il 2040. È anche previsto lo snellimento delle procedure per la concessione dei visti di studio e di lavoro, limitatamente a quelli di durata temporanea, e un programma per il sostegno della mobilità giovanile, che permetterà ai giovani tra i 18 e i 30 anni di studiare, lavorare e formarsi nei due territori per un massimo di quattro anni. Il Regno Unito ha tuttavia posto limiti selettivi per il controllo degli ingressi. Si tratta per il momento di un accordo quadro che andrà riempito di contenuti nei prossimi mesi, ma che testimonia un sostanziale cambiamento delle relazioni bilaterali inaugurato dal nuovo esecutivo laburista. Il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta esorta l’Unione europea a non restare ferma La Rivista Europee La Rivista · Aprile - Giugno 2025 12

La Rivista Geopolitiche Il Pontificato di Leone XIV: Un Nuovo Capitolo per la Chiesa e il Mondo di Eva Castagnetti* L’elezione di Papa Leone XIV avviene in un momento cruciale sia per la Chiesa cattolica che per la diplomazia internazionale, e potrebbe rappresentare un cambiamento forse molto significativo in un periodo storico particolarmente delicato. Un insieme inedito di esperienze e visioni Primo papa statunitense, anche se non primo americano, Robert Francis Prevost porta al pontificato un insieme inedito di esperienze, personalità, prospettive culturali e visione ecclesiastica. Il simbolismo della sua elezione, il nome scelto, la sua storia personale e anche la composizione dei leader mondiali presenti all’inaugurazione del suo papato, sono tutti importanti segni non solo della direzione in cui la Santa Sede vuole o potrebbe andare negli anni a venire, ma anche delle aspettative e attitudine degli altri attori geopolitici in rispetto alla posizione e influenza del papato. Nato a Chicago nel 1955, Papa Leone XIV è membro dell’Ordine di Sant’Agostino e ne è stato Priore Generale per oltre un decennio. Ha trascorso quasi vent’anni in Perù come missionario, un’esperienza che ha forgiato una conoscenza concreta delle sfide ecclesiali e delle aspettative e aspirazioni geopolitiche del Sud globale. Grazie alla combinazione di queste sue esperienze, ma anche e forse soprattutto per la sua specifica personalità, Prevost incarna una figura ponte tra pragmatismo, empatia, riflessione teologica e autorità papale. Mentre Francesco era noto per il suo carisma, la sua spontaneità e il suo stile sacerdotale schietto, Leone XIV si mostra più riservato e metodico. La sua leadership appare meno emotiva, ma più strutturata e più attenta alla costruzione di mediazioni durature. La scelta del nome Leone XIV evoca chiaramente una continuità storica, in particolare con Leone XIII (1878–1903), autore dell’enciclica Rerum Novarum, considerata la pietra miliare della dottrina sociale della Chiesa. È un messaggio forte: il suo pontificato si annuncia come attento ai temi del lavoro, della giustizia, della dignità umana, dell’etica pubblica. Temi che, nell’era dell’intelligenza artificiale e della crisi climatica, tornano a ricoprire un ruolo preponderante. Leone XIV appare determinato a raccogliere e ordinare l’eredità del suo predecessore, ma lo farà con un registro più sistematico e dottrinale: una Chiesa che non si richiude e decide di rileggere la modernità con spirito critico ma non oppositivo. La gestione e contenimento della polarizzazione ecclesiale tra conservatori e progressisti, tra chi vorrebbe frenare ogni cambiamento e chi ne vorrebbe uno radicale, richiede sia equilibrio che fermezza teologica. È proprio grazie a questa sua meno evidente ribellione alla tradizione ecclesiastica, alla sua personalità moderata, che ispira fiducia e comprende l’importanza non solo delle riforme ma anche del consenso, che tali riforme potrebbero ora essere veramente possibili. La sua forza sta nella capacità di cambiare senza rompere, di innovare nel rispetto della struttura. A ciò si aggiunge una possibile revisione della governance interna del Vaticano, improntata a maggiore trasparenza e razionalità. Bisogna avere padronanza delle regole per poterle cambiare. Protagonista sul palcoscenico internazionale L’elezione di Prevost denota una attenzione dei cardinali non solo alle La Rivista · Aprile - Giugno 2025 13

realtà e priorità della Chiesa, ma del mondo tutto. Infatti, un Papa solamente “missionario”, o avente come caratteristica di spicco quella di essere espressione di quelle nazioni dell’Asia o dell’Africa per cui Bergoglio aveva avuto un occhio di riguardo, avrebbe dato un altro segnale. Avrebbe denotato un chiaro focus per le priorità evangeliche verso quelle popolazioni dove la religione cattolica è ancora minoritaria ma la deomografia sta crescendo esponenzialmente, allargando così il possibile “bacino d’utenza”. Scegliendo un diverso profilo il Conclave dimostra invece una capacità di andare oltre le questioni legate unicamente alla predicazione religiosa, ma di volersi posizionare come attore di rilievo sul palcoscenico internazionale, e di essere capace di farlo. Leone XIV potrebbe prestare maggiore attenzione alla diplomazia multilaterale, alla costruzione di ponti tra le grandi potenze, all’elaborazione di una visione etica dei nuovi conflitti digitali, etnici, ecologici. Tutte questioni altamente geopolitiche. Da un lato la sua doppia nazionalità nordamericana e peruviana, unita alla sua origine franco-italiana, lo pone in una posizione unica per favorire un dialogo rinnovato tra Stati Uniti, Unione Europea e il sud del mondo. Inoltre, proprio la sua origine statunitense potrebbe conferirgli un soft power aggiuntivo nei confronti delle potenze emergenti: essere percepito come espressione della società americana ed occidentale, rappresentarne il peso e i valori, ed allo stesso tempo essere autorizzato a disapprovarne certi aspetti a vantaggio di una visione più olistica e interculturale. Papa Leone potrebbe dunque rafforzare il ruolo diplomatico della Santa Sede non solo nei grandi conflitti in corso — Ucraina, Medio Oriente — ma anche in aree finora marginalizzate, come appunto Africa e Asia, oltre al sud America, ovviamente. Riuscire quindi non solo in una maggiore riorganizzazione e risanamento della governance ecclesiale, ma forse anche accentuare il dialogo tra potenze mondiali e grandi e piccoli attori geopolitici. Cautela, mediazione, neutralità Inoltre, il confronto tra il funerale di Papa Francesco e l’inaugurazione di Leone XIV rivela molto sulle dinamiche geopolitiche attuali e sulla percezione internazionale della Chiesa. Al funerale di Papa Francesco, ad esempio, non ha partecipato alcun rappresentante di Israele, Un segnale chiaro del gelo diplomatico seguito alle forti critiche di Francesco riguardo all’intervento militare israeliano a Gaza dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Il presidente israeliano Herzog era invece presente all’inaugurazione di Leone XIV, segno di un possibile riposizionamento: una apertura diplomatica, che indica una disponibilità ebraica ad un nuovo eventuale dialogo col Vaticano, subordinato presumibilmente all’atteggiamento che il nuovo Papa potrebbe prendere Protagonista sul palcoscenico internazionale La Rivista · Aprile - Giugno 2025 14

riguardo la situazione mediorientale. La volontà, da parte di Israele, di riavvicinarsi a una Santa Sede che potrebbe risultare più “equilibrata” nelle sue future prese di posizione. E forse anche una mossa diplomatica che punta a influenzare sin dall’inizio il tono del nuovo pontificato. Sul fronte russo-ucraino, Bergoglio aveva perorato l’imparzialità del papato, senza prendere una posizione netta per una delle due parti, ma invocando una soluzione diplomatica e pacifica senza uso di armi. Ciò aveva attirato critiche da chi si aspettava una più chiara condanna dell’invasione Russa. Non è detto che Leone XIV abbandoni la linea francescana, ma potrebbe declinarla con maggiore pragmatismo e in modo meno idealistico. Questo atteggiamento, sempre insistendo sul tenere aperte le porte del dialogo sia durante che, auspicabilmente, dopo la guerra, potrebbe comunque ridefinire la percezione del ruolo della Santa Sede sia agli occhi degli ucraini, che a quelli dei russi. Questi ultimi, a differenza di prima potrebbero ora infatti vedere nel Papa non solo una figura equidistante e forse da sfruttare a proprio favore, ma un attore di maggior peso diplomatico, di cui dover tener conto in una certa misura. Forse l’assenza “per motivi tecnici” della ministra russa all’inaugurazione di Prevost in qualche modo sottolinea questo cambiamento. Sia la personalità del nuovo pontefice che il profilo dei leader presenti alla sua inaugurazione non sono meri dettagli cerimoniali: sono segnali, indizi, prefigurazioni di una possibile svolta, o almeno di una diversa postura della Santa Sede nel mondo. L’insediamento di Leone XIV racconta una nuova fase del papato: meno carismatica, forse, ma più autorevole. La Santa Sede si può dimostrare uno degli attori più sottili e influenti della scena mondiale, capace di parlare ai popoli, ma anche ai palazzi del potere. Roma e il Vaticano: Una Risorsa per l’Italia La coabitazione tra il Quirinale e San Pietro rende inoltre Roma una capitale unica, e rappresenta ancor più di prima un’opportunità ineguagliabile e imperdibile per l’Italia di ampliare e rinsaldare la propria posizione come attore di rilievo e continuare a contare nel mondo. Con Leone XIV, il rapporto tra Italia e Santa Sede potrebbe consolidarsi, e lo stile più sobrio e razionale, ma non per questo “reazionario”, del nuovo Papa, potrebbe risultare particolarmente utile a un’Italia in cerca di peso internazionale e potrebbe trasformare la vicinanza, o meglio l’interdipendenza, tra i due Stati in una vera e propria sinergia. Non un’alleanza politica, ma una convergenza strategica e geografica da sfruttare in modo coordinato su scala globale. Roma, come sede del papato e centro di riferimento non solo religioso, ma anche culturale e diplomatico. Il pontificato di Leone XIV si apre in un momento di grandi sfide globali, ma anche di opportunità per la Chiesa cattolica di riaffermare il suo ruolo e la sua vocazione ecumenica, e allo stesso tempo contribuire alla redefinizione dell’ordine mondiale. Il papato, sotto la guida di Leone XIV, potrebbe ritrovare una voce più misurata, ma non per questo meno incisiva. *co-founder Geopolitics Network Group e caporedattore GeoRadar Accanto alla personalità del nuovo pontefice il profilo dei leader presenti alla sua inaugurazione non sono meri dettagli cerimoniali La Rivista Geopolitiche La Rivista · Aprile - Giugno 2025 15

Novità in Gazzetta Ufficiale Voto e cittadinanza, concorrenza e crisi industriali, ma anche accordi sul gas e accesso ai capitali. Diversi i provvedimenti entrati in vigore negli ultimi mesi, tempo caratterizzato anche da una tornata elettorale – i referendum abrogativi dell’8 e 9 giugno scorsi – e dalla discussa riforma della cittadinanza iure sanguinis approvata dal Parlamento alla velocità della luce. di Manuela Cipollone E ntrata in vigore il 24 maggio scorso, la legge (La numero 74 del 2025) di conversione del decreto 36 del 28 marzo limita lo ius sanguinis a due generazioni (un genitore o un nonno nato in Italia) per i nati all'estero. L'articolo 1 della legge, al primo comma stabilisce che i nati all'estero in possesso di un'altra cittadinanza non acquisiscono automaticamente quella italiana (Non ha mai acquistato la cittadinanza italiana chi è nato all’estero ed è in possesso di altra cittadinanza). Questa preclusione si applica anche a coloro che sono nati all'estero prima dell'entrata in vigore della disposizione. Ma sono previste alcune eccezioni. Si applica la disciplina previgente: se lo stato di cittadino è stato riconosciuto o l'interessato ha ricevuto comunicazione di appuntamento per la presentazione della domanda entro il 27 marzo 2025; se lo stato di cittadino è stato accertato giudizialmente a seguito di domanda giudiziale presentata entro il 27 marzo 2025; se uno dei genitori o dei nonni possedeva esclusivamente la cittadinanza italiana; se uno dei genitori o adottanti ha risieduto legalmente e continuativamente in Italia per almeno due anni dopo l'acquisto della cittadinanza italiana e prima della nascita o adozione del figlio. Alla ricerca della cittadinanza perduta Il testo regolamenta anche l’acquisto della cittadinanza da parte del minore straniero o apolide. In particolare, l'articolo 1, commi 1-bis e 1-ter introduce nuovi casi di acquisto "per beneficio di legge" e non "per nascita". Si stabilisce che il minore straniero o apolide, discendente da genitori cittadini italiani per nascita, diviene cittadino italiano se i genitori o il tutore dichiarano la volontà di acquisto. RiLa Rivista Burocratiche Entrata in vigore il 24 maggio scorso, la legge (numero 74 del 2025) che ridefinisce l’acquisizione automatica della cittadinanza italiana La Rivista · Aprile - Giugno 2025 16

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