La Rivista

riservati agli “intellettuali” plurilingui e vengono proiettati, in genere, nelle grandi città e nei piccoli cinema alternativi. I secondi sono destinati al resto della popolazione tendenzialmente monolingue che frequenta i cinema multisala, mangiando popcorn e patatine fritte. Pur non ritenendomi particolarmente “intellettuale”, ricordo bene uno dei primi film che vidi in un piccolo cinema d’essai di una cittadina della Svizzera tedesca. Me l’aveva consigliato un conoscente letterato e molto impegnato nell’integrazione degli stranieri. Il problema, per me, fu che il film, indiano, era in bengali con sottotitoli in tedesco e francese. All’epoca le mie conoscenze della lingua di Goethe erano abbastanza limitate, inoltre non ero per niente abituato a coordinare le immagini con i sottotitoli. Credo di essermi perso molti dettagli dei dialoghi tra i protagonisti, ma i balletti stile Bollywood erano molto divertenti. Nel corso degli anni ho imparato a padroneggiare la tecnica dei sottotitoli, ma preferisco di gran lunga i film doppiati… in tedesco, così non devo fare troppa fatica a leggere la traduzione. Se i film sono in inglese, invece, tutto dipende dalla pronuncia degli attori. Tra di loro, infatti, c’è chi recita con l’accento americano di Donald Duck/Paperino, incomprensibile, e chi si ricorda che può tranquillamente usare la lingua di Shakespeare, scandendo le sillabe in modo chiaro. Particolarmente problematico per me è l’approccio con i film in lingua italiana proiettati nei cinema di lingua tedesca. Capisco perfettamente quello che viene detto, ma i sottotitoli mi distraggono perché certe persone, come me, non smettono mai di fare confronti tra le lingue, anche quando potrebbero rilassarsi e godere in santa pace un film. Non è sempre un bel sentire L’ultima esperienza emblematica, in ordine cronologico, è stata quella fatta con C’è ancora domani di Paola Cortellesi. Gli attori recitano in dialetto romanesco, a tratti anche un po’ borgataro, ma comprensibile per qualsiasi spettatore di lingua italiana da Vipiteno a Lampedusa. Uno spettatore di lingua tedesca o francese, invece, potrebbe avere dei problemi a capire questa varietà dialettale, anche se possiede buone competenze nella nostra lingua. L’uso dei sottotitoli, quindi, è l’unica soluzione possibile per rendere accessibile il film in tutta la Svizzera. Si tratta, tra l’altro, anche di una disposizione federale mirata a sostenere tutte le lingue nazionali. Ebbene, durante il film non ho fatto altro che controllare le traduzioni nella lingua di Goethe o di Molière di espressioni come quer gran fijo de na mignotta, te ne voi annà, all’anima de li mortacci vostra, je devi menà e così via. Ancora una volta ho avuto la conferma che i sottotitoli, in genere, sono dei riassunti di intere frasi e certe sfumature lessicali non vengono rese in modo adeguato. Per certi termini, poi, vengono utilizzate forme abbastanza standard, visto che non è possibile fare una traduzione perfetta di concetti inesistenti in tedesco o in francese. Sinceramente non so se questo sia un bene o un male, vista la presenza di un gran numero di parolacce generalmente usate oggi nei film in lingua italiana. Nell’opera della Cortellesi, molto interessante per i temi trattati, è chiaro che bisognava usare la lingua der popolo per essere credibili, ma a volte la percezione complessiva La serie Gomorra, con i personaggi che parlano in napoletano stretto, se non è sottotitolata in italiano non è semplice da seguire neppure per un lingua madre La Rivista · Giugno 2024 41

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