La Rivista

Il sequestro e l’assassinio di Matteotti Matteotti ci aveva visto giusto, il suo intervento su quel tema avrebbe potuto spaccare il compatto fronte fascista. Bisognava allora chiudergli la bocca per sempre prima del suo nuovo intervento alla Camera. «L’oppositore più intelligente e irriducibile”, come ebbe a definirlo Piero Gobetti, doveva essere eliminato, affinché nel Paese e nella Camera non risuonasse più la sua voce di accusa e di protesta». Matteotti sapeva del pericolo che correva, ma, nonostante tutto, decise di affrontarlo a testa alta. Dumini e la sua banda avevano probabilmente solo l’ordine di sequestrarlo per condurlo non sappiamo dove. Matteotti, da parte sua, aveva deciso «di lasciarsi aggredire, riservandosi di esibirne poi le conseguenze alla prima occasione utile e, in tal modo, screditare il governo Mussolini». Ma tutto andò come pensavano né l’uno e né l’altro: la situazione sfuggì di mano a tutti e due. Martedì, 10 giugno 1924, alle 16,30, Matteotti uscì di casa, nel quartiere Flaminio, da solo, per dirigersi verso Montecitorio. Sul lungotevere Arnaldo da Brescia, un’auto, una Lancia, era ferma ad aspettarlo con a bordo Amerigo Dumini, Albino Volpi, Amleto Poveromo, Augusto Malacria e Giuseppe Viola. Due di loro scesero dall’auto e lo aggredirono, lui riuscì a divincolarsi, intervenne allora un terzo aggressore che lo colpì tanto violentemente da stordirlo. Lo caricarono sull’auto, dove continuò una colluttazione furibonda, e Matteotti, già preparato a quell’assalto, gettò fuori dal finestrino il suo tesserino da parlamentare, che fu, poi, ritrovato da due contadini presso il Ponte del Risorgimento. I tre che lo avevano assalito, seduti insieme a Matteotti sui sedili posteriori dell’auto, non riuscirono a tenerlo fermo. Per immobilizzarlo, a quel punto, Giuseppe Viola lo colpì a coltellate sotto l'ascella e al torace. Con Matteotti agonizzante, i cinque ceffi girovagarono per la campagna romana fino a raggiungere verso sera la Macchia della Quartarella, nel comune di Riano, a 25 km da Roma. Matteotti era già morto e, quindi, non poteva essere consegnato nelle mani dei carnefici, che ne avevano ordinato il sequestro. La tesi che la banda del Viminale si doveva solo limitare al rapimento e non all’uccisione, è avvalorata dal fatto che fu costretta, per nascondere sommariamente il cadavere, a scavare la fossa servendosi del cric dell’auto. Dopo il barbaro assassinio di Matteotti, 123 deputati del fronte antifascista, il 27 giugno 1924, abbandonarono i lavori parlamentari e si ritirarono, per protesta, sull’Aventino, uno dei sette colli sul quale, secondo la leggenda, era stata fondata Roma. Il corpo di Matteotti fu ritrovato, la mattina del 16 agosto 1924, da un cane di un brigadiere dei Carabinieri in licenza, proprio in un bosco di Riano. Si trattò di un ritrovamento non del tutto casuale, in quanto, sicuramente, qualcuno gli aveva indicato il luogo della sepoltura. Il brigadiere allertò allora i colleghi dell’Arma, che intervennero subito. Già la mattina di mercoledì, 11 giugno, Benito Mussolini, al corrente di come erano andati i fatti, si era limitato a raccomandare ai suoi di «star zitti (...) se mi salvo io, vi salverete tutti; altrimenti andremo tutti all’aria. Piu confusione c’e, meglio e, cosi nes1° Maggio / Lavoratori unitevi / Zurigo 1927: distintivo ufficiale di stoffa con l’effigie di Matteotti. La Rivista Cultura La Rivista · Marzo 2024 49

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