navi israeliane e di nazioni a loro associate per fiaccare lo Stato Ebraico e i suoi complici. Sicuramente migliaia di miliziani zaiditi combattono ogni giorno credendo sinceramente nel jihad per liberare i confratelli di Terrasanta; ma la miccia della guerra dichiarata da questo partito di montanari eretici a mezzo mondo parte da più lontano, dalla Repubblica Islamica dell’Iran. La Persia vive della sua storia millenaria. Gli iraniani si considerano gli eredi di Ciro il Grande e Nadir Shah, depositari di un impero che in quanto tale, cova ambizioni che viaggiano ben oltre i propri confini amministrativi. Pan-iranica, sciita e antioccidentale sono le caratteristiche fondamentali della loro proposta imperiale. Per questo, già durante la guerra fredda, Israele ha incarnato, insieme agli USA, il nemico giurato della Repubblica Islamica, in quanto rivale regionale e spauracchio perfetto per ergersi a protettore di una certa parte del mondo islamico ad essa stessa afferente. Proprio nell’ottica di questa decennale faida Teheran ha promosso fin dal 1982 la nascita e crescita di Hezbollah in Libano, ha alimentato la resistenza degli Huthi in Yemen e ha sostenuto gli attacchi a Israele da parte di Hamas del 7 ottobre 2023. Questi ultimi eventi hanno inaugurato la nuova fase della guerra latente dell’Iran all’Occidente, che prosegue con l’apertura del fronte yemenita, con cui i persiani vogliono minare le fondamenta stesse dello strapotere americano. Se le navi di qualsiasi nazione si trovano a non poter solcare le acque di Bab el-Mandeb in piena sicurezza, non si registra soltanto un ingente danno economico per i proprietari dei porti non più raggiunti dai traffici, ma anche, e soprattutto una seria sfida al ruolo degli Stati Uniti di protettori della globalizzazione. Un concetto tanto fumoso quanto diffuso La globalizzazione è un concetto tanto fumoso quanto diffuso nel dibattito pubblico moderno. Esso diventa panacea o peccato originale dell’argomento di turno senza mai venire chiaramente definito. Il suo significato varia a seconda di chi la chiama in causa o di quale sia il contesto, ma il suo presupposto fondamentale rimane chiaro, ed è il controllo americano degli oceani. Diventa chiaro perché debbano essere proprio gli Stati Uniti a scendere in prima linea per scongiurare ogni tentativo di bloccare il libero flusso delle merci sui flutti. Sebbene riluttanti a rimettere piede in Medio Oriente, gli USA sanno che ne va del principio di deterrenza, già traballante, che dovrebbe preoccupare chiunque ambisca a contestare l’ordine mondiale proposto da Washington. La situazione rimane però delicata. Gli Huthi arroccati tra le montagne nell’entroterra dispongono di un vasto arsenale di missili e droni ad ampio raggio (fino a 1400 km), incredibilmente economici, che possono causare danni milionari quando vanno a segno o che costringono le marine occidentali a utilizzare armi fino a cento volte più costose per neutralizzarli; inoltre, nello stretto braccio di mare del golfo di Aden, troppe imbarcazioni alleate riunite in convogli sono un facile bersaglio per i lanci yemeniti. In tutto ciò dov’è l’Italia? Sempre lì, in mezzo al mare, in balia delle onde. La crisi del Mar Rosso è forse la vicenda geopolitica più rilevante per il Belpaese dalla crociata anglo-francese contro Gheddafi; certamente la Guerra in Ucraina e il conflitto di Gaza hanno e avranno pesanti conseguenze sul nostro immediato vicino, ma nulla come il blocco di Bab el-Mandeb pregiudica quella che sarebbe una pietra angolare della nostra strategia, conditio sine qua non della sopravvivenza, ovvero garantire che le nostre navi siano libere di uscire dalla gabbia Mediterranea e viceversa, che le navi vitali al nostro approvvigionamento siano in grado di raggiungere i porti della penisola. Un cenno di vita Roma lo ha dato aderendo insieme alle marine di Germania, Belgio e Grecia all’Operazione Aspides dell’Unione Europea inviando il cacciatorpediniere lanciamissili “Caio Duilio” nello stretto; da soli possiamo poco ma non siamo gli unici a dipendere da questo corridoio blu, l’importante è prenderne coscienza. Le milizie Huthi sono una forza armata strutturata, ben equipaggiata, addestrata e motivata La Rivista · Marzo 2024 20
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