ne, magari distanti poche centinaia di metri l’una dall’altra, ci possono essere differenze significative nello svolgimento del programma. E poi, non esiste nessun diritto allo studio. C’è piuttosto il dovere di orientarsi velocemente per un apprendistato lavorativo. Lo studio classico, quello che passa per il ginnasio e poi eventualmente per le accademie, è riservato a una cerchia ristretta di persone, quelle che si sono adattate meglio alle esigenze degli insegnanti o hanno i genitori in grado di seguirli nei compiti. Per gli altri, invece, c’è sempre tempo per farlo successivamente se lo si desidera. Con le riforme degli ultimi sono stati creati istituti universitari professionali che stanno molto attenti alle esigenze del mondo del lavoro. Ecco, il sistema scolastico elvetico non ha gli slanci idealistici italiani ma è molto più pragmatico ed efficiente. L’utilitarismo economico vince su tutto e nessuno ha obiezioni da fare. L’obiettivo finale è, infatti, quello di formare lavoratori diplomati e qualificati in ogni settore professionale, mentre la Cultura è un lusso che ci si può concedere successivamente a livello privato, ma non fa parte dei compiti primari della Scuola. Anche la formazione degli insegnanti rispecchia questa mentalità. Grande attenzione viene data alla didattica pratica, con qualche piccola infarinatura di tipo culturale. Si dà, infatti, per scontato che certe cose sugli antichi romani o sulle sorgenti del Reno dovrebbero essere state imparate già nella scuola dell’obbligo. Durante gli studi per diventare insegnante non vengono trattate queste cose, molto più importante è la creazione di giochi e canzoncine che dovrebbero favorire l’apprendimento dei futuri alunni. Tutto molto bello e simpatico. Per quanto riguarda le lingue, a livello formale c’è poco da dire. Il diploma ottenuto in questo tipo di scuole attesta che, dopo gli anni di studio richiesti dal piano, una persona dovrebbe essere in grado di insegnare il lessico e la grammatica tedesca, francese, italiana o inglese, anche se possiede una conoscenza molto scarsa delle culture che stanno alla base lingue scelte. Gli aspetti umanistici dell’insegnamento dovrebbero, invece, appartenere a coloro che frequentano le università e che, poi, si trovano, per qualche motivo, a trasmettere la Storia, la Filosofia o la Letteratura a un gruppo di liceali, a loro volta costantemente sotto pressione perché devono raccogliere voti alti per non essere bocciati. Tutto è concentrato sulla prestazione del momento, quello che si impara veramente è secondario. Piccoli robot ubbidienti si preparano per la vita. Bandito l’inutile nozionismo? In ogni caso la libertà didattica dei singoli docenti è veramente grande e dipende sostanzialmente dalla loro (im)preparazione che manifestano abilmente o nascondono opportunamente. Ne ho conosciuti veramente tanti e di tutti i tipi: gli idealisti che pensano di cambiare il mondo, i pragmatici che badano al sodo del loro lavoro, i demotivati, che hanno perso ogni voglia di lavorare, i ragionieri, che spaccano il pelo per ogni decimo di voto da assegnare, i disillusi, che si sono adeguati al sistema per non ….e subito dopo parla dei Rolling Stones? La Rivista La Lingua batte dove... La Rivista · Marzo 2024 54
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