La Rivista

Jean Louis Comolli è stato un critico cinematografico francese di origini italiane che ha scritto diversi testi sul cinéma du réel che sono delle pietre miliari La Rivista · Dicembre 2023 75 l’adolescenza sia l’età migliore per mostrare e raccontare anche i paradossi dell’essere adulto. Stupisce che la bella canzone che i protagonisti di Lonely compongono durante il film sia proprio “in presa diretta”, raccontata in fieri. Non a caso la canzone è rimasta un’opera incompiuta, perché le loro strade si sono separate verso la fine delle riprese, e così è un po’ successo con la loro canzone. Precious vedeva in Federico qualcuno con cui condividere una situazione e scappare dalla propria condizione, era ovvio che lo considerasse una sorta di appiglio anche per via della fragilità dovuta alla sua situazione familiare. D’altra parte, Federico non voleva una relazione amorosa con pressure, diciamo, e dunque questa cosa ha creato un po’ di freddo… come capita fra adolescenti, ecco. Si diceva all’inizio del documentario e della sua intrinseca imprevedibilità. Mi viene in mente il primo film di Wim Wenders, Lightning Over Water - Lampi sull'acqua (1980) in cui il regista trentaquattrenne raccontava gli ultimi giorni dell’amico e collega Nicholas Ray, malato di cancro in fase terminale. Come giudichi le nuove possibilità, legate anche all’innovazione tecnologica, di questo genere, e c’è qualche autore in particolare che ti ha ispirato? Parliamo di fatto di una corrente che oggi chiamano il cinema del reale. Si tratta in realtà di una corrente piuttosto italiana, nel senso che è nata in Italia e viene chiamata il nuovo neorealismo italiano. Ad esempio, con Garrone, con Rosi, si è iniziato un po’ a raccontare la società attuale e le sue problematiche… Se penso alle mie influenze me ne viene in mente una in particolare. Ho studiato cinema a Losanna quando ancora non conoscevo il documentario, che per me in sostanza equivaleva ai programmi di divulgazione scientifica sugli animali, tipo Quark [di Piero Angela]. Ma durante gli studi si verificano sempre degli incontri capaci di aprirti certe porte: nel mio caso è stato Jean-Luis Comolli, che è morto purtroppo lo scorso anno. Comolli è stato un critico cinematografico francese di origini italiane che ha scritto diversi testi sul cinéma du réel che sono delle pietre miliari. La prima volta che ho avuto un corso con lui ci disse, riferendosi al documentario: ci sono migliaia di modi di guardare la realtà. Fare un documentario non significa solo fare interviste. Una persona la puoi intervistare o guardare, osservare. E dunque da lì è nata un po’ la mia idea di documentario come un’osservazione piuttosto che un’interrogazione della realtà. Ho quindi iniziato a osservare, però, ripeto, non ho inventato nulla. Questo tipo di osservazione si faceva anche in alcuni film di fiction, nella nouvelle vague; abbiamo parlato prima del neorealismo, che di fatto era filmare le persone reali nella loro quotidianità, magari inserendo in quella realtà un attore o prendere addirittura qualcuno da là e farlo recitare. Dunque, diciamo, è stata più un’idea che una persona ad ispirarmi. E da lì ho sviluppato questo, se vogliamo definirlo così, metodo, ma non è neanche un metodo, è un po’ una sensibilità, ecco, un modo di raccontare. E anche un modo di farsi raccontare.

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