La Rivista

reccio illegale nel canale di Sicilia, mentre Il mio corpo (2021) – selezionato a eventi internazionali come Visions du Réel o ACID a Cannes – metteva in singolare relazione una famiglia siciliana che si guadagna da vivere in discarica, e la vicenda di un nigeriano immigrato ormai ambientato nel paese. “I bianchi pensano che noi neri siamo dei miserabili… come se da noi non avessimo avuto una vita. Abbiamo attraversato questo mare, abbiamo avuto coraggio” dice uno dei due immigrati che Pennetta lascia raccontarsi, davanti al canale di Sicilia, ne Il mio corpo, prima che questi s’interroghino sul coraggio che può venire a mancare quando la si voglia lasciare, la Sicilia, anche perché nel frattempo non ci si può non affezionarle. Il suo cinema è stato definito “un’arte clandestina, capace di percorrere gli interstizi della Sicilia più profonda con la sensibilità di un occhio straniero ma partecipe” (Boris Sollazzo su Rollingstone). L’opera di Pennetta incita dunque a una riflessione etica e sociale attenta alle desertificazioni istituzionali, volgendo altresì lo sguardo alle relazioni umane a tutta prima inaspettate. Abbiamo incontrato Michele Pennetta al festival di Zurigo dopo la presentazione di Lonely (l’intervista contiene qualche spoiler). Mi ha interessato il fatto che questo film sia stato costruito facendolo, per cui la tua opera non solo presenta, ma anche racconta la progressiva interrelazione dei due protagonisti. Hai detto che utilizzi il codice della fiction per fare documentari. Mi sembra che tu abbia un approccio molto particolare, direi pionieristico, al documentario. Ti ci ritrovi? Sicuramente, forse è come dici tu, pionieristico è interessante, perché quel che ho fatto fino ad ora è sempre stato per me un po’ un’esperienza, un esperimento. Lavorare così è anche molto rischioso, però è un modo che paga, in un certo senso, perché comunque hai sì una libertà incredibile e hai anche delle situazioni inattese che arrivano… Dici che metti “in situazione” piuttosto che “in scena.” Esatto, e in questo caso l’idea era quella di fare un esperimento, banalmente, ossia mettere due persone che non si conoscono in una stanza; ma anziché in una stanza le ho messe in un film. Detto un po’ così. E il film, di fatto, diventa il racconto del loro processo, della loro relazione che nasce e che non sappiamo come si svilupperà, una relazione amicale, amorosa, non lo sappiamo fino a quando non abbiamo girato il film; dunque, noi catturiamo proprio quello che succede tra loro. In questo caso la messa in situazione è stata, data la loro comune passione per la musica, la proposta di scrivere insieme una canzone. Questo pretesto fa sì che loro interagiscano, e dall’interazione iniziale si sviluppa un qualcosa, nasce una relazione. E ne è venuta una relazione creativa. Si, è un film su un processo creativo, possiamo dirlo. Non solo, perché quello è il filone che li avvicina; d’altronde, loro due non sono stati scelti a caso. Li ho scelti anche in considerazione del fatto che entrambi stavano vivendo una fase difficile. Entrambi erano in un periodo cerniera della loro vita, veramente a cavallo tra l’adolescenza e il passaggio del diventare adulti con tutti i problemi che ne seguono. Sapevo che lei aveva dei problemi con la madre, che doveva I protagonisti del film Lonely La Rivista · Dicembre 2023 73

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