La Rivista

tutti quelli che non si piegano a certi ricatti. Ognuno segue i balivi che si merita, ma trovo ironicamente singolare il fatto che i nazionalisti elvetici strumentalizzino a proprio piacimento il mito, di origine scandinava, del ribelle Wilhelm Tell, reso famoso da un tedesco (Friedrich Schiller) e da un italiano (Gioacchino Rossini). Quando l’algoritmo ci mette la coda Sinceramente non comprendo l’alchimia algoritmica che favorisce questo genere di segnalazioni, soprattutto perché sono un asociale informatico. Però ho un sospetto che potrebbe chiarire il mistero: mi chiamo come un noto politico ticinese di un partito moderato, Raffaele De Rosa, e di conseguenza ricevo messaggi dai contenuti offensivi che dovrebbero essere indirizzati a lui e non a me. Non conosco la biografia del mio omonimo svizzero, ma immagino che il suo cognome sia importato dall’Italia meridionale come il mio. Mio nonno, infatti, era napoletano, con addentellati casertani. Si dice che un nostro antenato avesse assistito all’incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II vicino a Teano. Per quanto mi riguarda sono abituato a essere considerato un non autoctono sia nella regione dove sono nato e ho vissuto una parte della mia vita, cioè nel Veneto dove ero Dalla Rosa o Della Rossa, sia nel cantone svizzero tedesco dove ho scelto di vivere da tanti anni. Però devo ammettere che nessuno, tra gli alemanni elvetici, ha mai avuto problemi con il mio cognome, pur non chiamandomi Müller o Schmid. De Rosa è facile da scrivere e da pronunciare, sicuramente più di Quadri ( Cuatri? Kwatri? Chwattri?) o Chiesa ( Kiesa? Ciesa? Cesa? Giesa?). Un ottimo modello di convivenza culturale e linguistica La Svizzera è considerata in genere come un ottimo modello di convivenza culturale e linguistica, ma la realtà può essere molto diversa e frustrante. Ogni cantone è autoreferenziale e attua politiche scolastiche che non tengono conto delle raccomandazioni federali sul rispetto delle minoranze. Per questo motivo, quando leggo le argomentazioni dei patrioti elvetici rimango perplesso di fronte a tutto questo fervore nazionalistico. Dicono che vogliono difendere la loro cultura? Quale esattamente? In un Paese estremamente variegato dove in pochi chilometri cambiano dialetti e lingue, con rivalità secolari in parte ancora vive? Che senso ha essere nazionalisti in un Paese così legato alle proprie prerogative locali? Il motto che sta alla base di tutti i nazionalismi classici è una lingua, una cultura e una religione. Come si può applicare questo principio in Svizzera? E poi che cosa hanno a che fare il contadino turgoviese, il vaccaro dell’Appenzell interno, l’insegnante sangallese, l’uomo di affari di Zugo, i due turisti zurighesi ascoltati in Ticino, l’idraulico sciaffusano, il falegname bernese o il direttore di un’azienda farmaceutica basilese con i patrioti che vivono a Lugano o Bellinzona e forse parlano a malapena il tedesco standard. Solo un passaporto, rosso con una croce bianca, ricevuto non per particolari meriti, ma semplicemente perché determinate vicende storiche le hanno fatte nascere all’interno del lato “buono” (dal loro punto di vista) del confine? E questo può giustificare l’atteggiamento di chiusura verso coloro che vivono sul lato “sbagliato” (sempre dal loro punto di vista) della Convivialità in un grotto ticinese La Rivista · Giugno - Settembre 2025 61

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