ni governi partner presentano gravi problemi in materia di diritti umani o fragilità istituzionali, e Roma deve affrontare il compito delicato di conciliare interessi commerciali e di sicurezza con efficacia dello sviluppo e impegni normativi. Strumento per affrontare le “cause profonde” delle migrazioni irregolari Sul tema delle migrazioni — ampiamente dibattuto nel discorso politico italiano — il governo presenta il Piano Mattei come uno strumento di lungo termine per affrontare le “cause profonde” delle migrazioni irregolari stimolando occupazione e opportunità economiche locali. Tuttavia, gli esperti avvertono che la crescita economica può aumentare la mobilità nel breve periodo: solo nel lungo termine uno sviluppo strutturale può ridurre la pressione migratoria, e persino allora la relazione è mediata da dinamiche demografiche, differenziali salariali e reti di diaspora. Il potenziale del Piano di ridurre in modo significativo i flussi migratori dipende dunque da aspettative realistiche, orizzonti temporali lunghi e dall’allineamento della creazione di lavoro con le competenze e le aspirazioni delle giovani generazioni. Senza una governance inclusiva, partenariati credibili e risultati misurabili, il rischio è che il Piano venga interpretato più come uno strumento di gestione delle migrazioni che come un vero programma di sviluppo. Alcuni passi concreti potrebbero rafforzare la progettazione e la ricezione del Piano. In primo luogo, l’istituzione di un registro online accessibile dei progetti — con elenco dei partner, importi finanziati, cronoprogrammi, beneficiari previsti e report indipendenti — migliorerebbe immediatamente la trasparenza e permetterebbe il controllo della società civile. In secondo luogo, l’adozione di più solide clausole di contenuto locale, obiettivi vincolanti in materia di occupazione e formazione e chiari standard ambientali e sociali aiuterebbe a tradurre l’attività commerciale in benefici concreti e misurabili. In terzo luogo, l’istituzionalizzazione di una leadership congiunta africana (comitati direttivi congiunti, bandi di progetto cofinanziati e organismi di monitoraggio presieduti localmente) risponderebbe alla critica legittima circa il limitato coinvolgimento africano nella progettazione. Infine, l’integrazione fin dall’inizio di meccanismi indipendenti di valutazione e audit esterno permetterebbe di apprendere rapidamente e adattare gli interventi. Queste misure non solo aumenterebbero l’efficacia, ma migliorerebbero anche la narrativa politica di partenariato e responsabilità reciproca. In conclusione, il Piano Mattei rappresenta un ambizioso tentativo di ridefinire il ruolo dell’Italia in Africa, combinando diplomazia pubblica, investimenti privati e leva multilaterale. La sua promessa risiede nell’allineare i settori in cui l’Italia dispone di asset industriali e istituzionali con le priorità di sviluppo africane. Le sue insidie consistono in una trasparenza insufficiente, nel rischio di privilegiare obiettivi commerciali rispetto ai beni pubblici e nelle implicazioni politiche di un coinvolgimento con un ampio spettro di governi senza una più chiara co-progettazione e responsabilità. Il successo dipenderà dalla capacità di tradurre l’ambizione retorica in una cooperazione inclusiva e duratura, garantendo che i finanziamenti producano benefici visibili e verificabili per le comunità locali — in particolare posti di lavoro per i giovani, il cui futuro determinerà se il Piano sarà percepito come un autentico partenariato o semplicemente come una ridenominazione strategica di interessi bilaterali preesistenti. Il governo presenta il Piano Mattei come uno strumento di lungo termine per affrontare le “cause profonde” delle migrazioni irregolari La Rivista Geopolitiche La Rivista · Giugno - Settembre 2025 17
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