formazione professionale e iniziative di connettività digitale. Tra i progetti di punta discussi pubblicamente figurano corridoi infrastrutturali e collegamenti di trasporto (la stampa ha citato, ad esempio, il corridoio di Lobito come uno dei più rilevanti nei dibattiti Italia-Africa) e programmi multinazionali per rafforzare i sistemi alimentari e la produttività agricola. A livello operativo, grandi aziende italiane — tra cui Leonardo e il gruppo agroindustriale BF — hanno firmato accordi per partecipare a progetti agricoli e tecnologici etichettati Mattei, con BF che ha annunciato investimenti di diverse centinaia di milioni di euro nell’arco di alcuni anni per sostenere le rese agricole e misure di adattamento climatico. Il coinvolgimento del settore privato è stato posto deliberatamente al centro. La narrativa italiana presenta il Piano Mattei come un modello di “partenariato” in cui le imprese italiane apportano tecnologia, finanza e capacità manageriali, mentre i Paesi ospitanti definiscono le priorità. Questa enfasi pubblico–privato ha due conseguenze: può accelerare l’attuazione laddove le imprese abbiano vantaggi comparativi (ad esempio Leonardo nell’agricoltura di precisione e nelle tecnologie di monitoraggio), ma solleva anche rischi legati al bilanciamento tra obiettivi commerciali e di sviluppo. Alcuni osservatori hanno sottolineato la possibilità che certi accordi marchiati Mattei siano in realtà una semplice rietichettatura di impegni commerciali bilaterali già esistenti, senza apportare un valore aggiunto misurabile in termini di sviluppo. Lo sforzo del governo di mobilitare capitale privato — e di presentare il Piano come un motore di creazione di occupazione locale — è credibile nelle linee generali, ma richiede garanzie chiare, regole di contenuto locale e monitoraggio indipendente per assicurare che i benefici ricadano effettivamente sulle comunità ospitanti. Lacune di governance e trasparenza Diversi analisti politici e partner europei hanno evidenziato lacune di governance e trasparenza che minano la credibilità del Piano. Le prime critiche sottolineavano come, al momento del lancio, il Piano Mattei fosse più un marchio-ombrello che una strategia operativa dettagliata: i critici hanno rilevato la relativa assenza di una piattaforma pubblica e consultabile che elencasse progetti, bilanci, tempistiche e risultati misurabili — informazioni normalmente attese da donatori, governi partner e società civile per iniziative multilaterali di questa portata. La mancanza di un co-design africano nella fase iniziale di elaborazione dei progetti ha suscitato critiche esplicite anche da parte della leadership dell’Unione Africana e di analisti, che hanno avvertito del rischio che un’impostazione dall’alto comprometta l’impegno dichiarato al partenariato paritario. Alcune analisi di think-tank hanno descritto parti del Piano come una semplice ricollocazione di iniziative esistenti, senza nuovi finanziamenti o una reale coordinazione, sollecitando un monitoraggio più rigoroso e quadri di valutazione indipendenti. La scelta dei Paesi partner e l’inquadramento geopolitico sono significativi. Inizialmente nove, entro il 2025 l’elenco dei Paesi è salito a quattordici: i nuovi ingressi segnalati sono Angola, Ghana, Mauritania, Tanzania e Senegal, accanto a partner già presenti come Algeria, Egitto, Marocco, Tunisia, Costa d’Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Kenya e Mozambico. La selezione riflette un mix di prossimità geografica (Nord Africa), rilevanza energetica e Paesi in cui imprese e istituzioni italiane hanno già una presenza consolidata. Tuttavia, questa composizione comporta compromessi politici: alcuAl Vertice sui Sistemi Alimentari delle Nazioni Unite del luglio 2025, Meloni ha incontrato il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed La Rivista · Giugno - Settembre 2025 16
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