Gennaio-Marzo 2025 n. 01 - Anno 116 Gorizia e Nova Gorica capitali europee della cultura Quando il confine unisce Pag 89-96 Il Mondo in Camera
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Giangi Cretti Direttore gcretti@ccis.ch La Rivista Editoriale affida il messaggio più forte: l'importanza di un incontro. Che, incurante delle cronache, si ostina a non voler essere scontro. Implicitamente evidenziando la rilevanza di agire insieme, come i ballerini quando si intrecciano, perché la danza significa anche e soprattutto fidarsi dell'altra persona, guidare ed essere guidati a seconda del passo e del momento. Il messaggio di Lorenzo Mattotti, tra i maggiori autori mondiali nel campo della grafica, figlio di un ufficiale dell'esercito, lombardo di Brescia che vive a Parigi, è chiaro: evoca universi paralleli e fantastici, che vorremmo fossero reali. L'arte (per quanto ancora?) è di tutti e non conosce le linee invisibili con le quali gli uomini delimitano i territori. Sul ponte bisogna danzare. Anche noi. Non solo noi. Nova Gorica e Gorizia, esempio di un confine che unisce e non divide, simbolicamente sono il posto giusto per provarci. La metafora del ponte è diretta. «Nella bellezza della natura, della musica e dell'arte in generale, archetipi di un linguaggio universale, si trovano quegli elementi di condivisione senza confini che contribuiscono ad abbattere ogni barriera linguistica, fisica e politica. (...) È il simbolo dell'armonia, in un viaggio che parte proprio dal confine». Lo leggiamo nella presentazione del manifesto. Mentre ci accingiamo a celebrare gli 80 anni della fine dell’ultimo grande conflitto mondiale, ci piacerebbe non fosse necessario, come invece sembra purtroppo doveroso, sottolinearlo. Condividendo le parole che il Presidente della Repubblica Sergio Matterella ha pronunciato, lo scorso 8 febbraio. intervenendo alla festa di apertura di Go!2025, ricordando, come ormai accoratamente fa in ogni suo discorso ufficiale, che “in un mondo caratterizzato da crescenti tensioni e da conflitti, dall’abbandono della cooperazione come elemento fondante della vita internazionale” vada invece seguito l’esempio di Slovenia e Italia che “hanno saputo dimostrare che è possibile scegliere la via della cooperazione”. Ribadendo l’insostituibile importanza dell’Unione europea, perché “lavorando fianco a fianco nelle Istituzioni Europee si è consolidata la fiducia reciproca e vi è maturato il senso di appartenenza e di una ulteriore identità: la comune identità europea. Le differenze, le incomprensioni, hanno lasciato il posto a fattori che uniscono. Questo esprime il grande valore storico della integrazione Europea”. Declinata, quest’ultima, attraverso le “tante preziose peculiarità nazionali, con più lingue, ma una cultura comune”. Che non conosce confini, ma che “nasce pur sempre, come espressione di una comunità aperta alla conoscenza, alla ricerca comune, ai reciproci arricchimenti”. “Sconfitti gli orrori dell’estremismo nazionalista, che tanto male ha prodotto in Europa, riemergono i valori della convivenza e dell’accoglienza”. Quei valori che, secondo il presidente Mattarella, “possono opporsi all’oscurantismo della guerra e del conflitto che si è riproposto con l’aggressione russa all’Ucraina. Essere Capitale europea della cultura transfrontaliera - la prima con questa esperienza - significa avere il coraggio di essere portatori di luce e di fiducia nel futuro del mondo, dove si diffondono ombre, incertezze e paure. Significa che Nova Gorica e Gorizia indicano una strada di autentico progresso”. L’auspicio è che seguirla, questa strada, non resti solo una nobile e accorata aspirazione. *** PS: A proposito di confini che uniscono, a pag 34 trovate il reportage del nostro collaboratore Nico Tanzi. Merita tutto il tempo di una lettura. Lui è italiano e lei è slovena. Nulla impedisce di supporre che possa valere il contrario: lei è italiana e lui è sloveno. C'è una mistica equivalenza delle possibilità e delle speranze in questa danza tra un uomo e una donna, nel paesaggio di una terra che - nel caso specifico come sappiamo - incrocia le montagne con il mare, le colline con i fiumi, il sole con la neve. Hanno abiti colorati. Danzano su un ponte, tenendosi per le mani, intrecciando gambe e caviglie, tra reciproci sguardi. È l'estro artistico di Lorenzo Mattotti che ci restituisce l'immagine simbolo (che riempie la nostra copertina) di un anno che non vuole restare tale, un 2025 che incorona Gorizia e Nova Gorica come capitali europee della cultura, «saltando» simbolicamente un confine che la storia del Novecento aveva dolorosamente disegnato e deve poter durare fino all'infinito e andare lontano, come sembrano suggerire quelle linee gialle all'orizzonte. Colori che riverberano i temi del superamento dei confini, della condivisione, delle influenze e dell’importanza della cultura che si mescola tra due Paesi, esprimendosi potentemente nella musica, nella danza, nell’arte e nel teatro. Nasce partendo dall’elaborazione di questi concetti l’immagine realizzata da Lorenzo Mattotti scelta come manifesto di GO!2025 e GO!2025&Friends, per rappresentare il messaggio e gli obiettivi del progetto tra la celebrazione delle caratteristiche culturali che gli europei condividono (?) e il senso di appartenenza (?) a uno spazio culturale comune. È tutta una curva sinuosa, questo manifesto ricco di promesse, al quale si
SOMMARIO 24 1 Editoriale 4 Italiche Contagio e svolta dalla Germania? 7 Elvetiche La buona resilienza della Svizzera e il complicato quadro mondiale 10 Europee Un riarmo discusso e i dazi alle porte 13 Geopolitiche Lo splendido tramonto della globalizzazione 18 Novità in Gazzetta Ufficiale 21 Angolo Legale Contanti al confine: novità in tema di normativa valutaria 30 L’Italia in 10 Selfie: un’economia a misura d’uomo per affrontare il futuro 34 Il bel Paese: Gorizia e Nova Gorica, il confine che unisce 40 Elefante invisibile La ricerca della «maturità» … In Copertina il manifesto realizzato da Lorenzo Mattotti di Go!2025 che celebra Nova Gorica e Gorizia capitale europea della Cultura 54 CARAVAGGIO 2025 In mostra a Roma alle Gallerie Nazionali di Arte Antica 44 La lingua batte dove… Il punto di non ritorno 46 Una storia milanese di eccellenza italiana Galtrucco. Tessuti moda architettura 62 Visioni del Tempo Il Serpente che Trasforma il Tempo 66 Tele-visioni Il servizio pubblico e le nuove sfide del mondo digitale Un contesto politico e culturale difficile 68 Note Italiane 70 Joan Thiele: Sguardo al futuro, ispirazione dal passato 71 In Svizzera la vendemmia 2024 è la seconda più scarsa degli ultimi 50 anni ccis.ch/la-rivista Consegnati a Zurigo i premi NUMERI UNO 2024 Storie di Straordinaria quotidianità tra Italia e Svizzera La Rivista · Gennaio -Marzo 2025 2
Vendemmia 2024 in Italia Un’ottima annata? Chissà? 72 Editore - Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Direttore - Giangi CRETTI Art Director - Marco DE STEFANO Collaboratori C. BIANCHI PORRO, V. CESARI LUSSO, M. CIPOLLONE, D. COSENTINO, L. D’ALESSANDRO, R. DE ROSA, N.FIGUNDIO, G.SORGE, M. FORMENTI, P. FUSO, T. GAUDIMONTE, T. GATANI, R. LETTIERI, F.MACRÌ, P.MEINERI, V. PANSA, N.TANZI, L.TERLIZZI Redazione Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Dolderstrasse 62 - 8032 Zurigo Tel. +41(0)44 289 23 23 www.ccis.ch /la-rivista larivista@ccis.ch Pubblicità Marco DE STEFANO Dolderstrasse 62 - 8032 Zurigo Tel. 0041(0)44 2892319 E-mail: mdestefano@ccis.ch Abbonamento annuo Chf. 40.- Estero: 50 euro Gratuito per i soci CCIS Le opinioni espresse negli articoli non impegnano la CCIS. La riproduzione degli articoli è consentita con la citazione della fonte. Periodico iscritto all’USPI (Unione Stampa Periodica Italiana). Aderente alla FUSIE (Federazione Unitaria Stampa Italiana all’Estero) Appare 4 volte l’anno. Stampa e confezione Nastro & Nastro srl 21010 Germignaga (Va) - Italy Tel. +39 0332 531463 www.nastroenastro.it 74 A Lugano la Sicilia del Vino 76 La strada dell’Olio siciliano porta a Lugano 78 La Dieta Rivista Diete Tradizionali e Salute 80 Nutrizione sana, esperti a Berna: “Necessarie correttezza e trasparenza delle informazioni” 82 Finale St. Moritz Gourmet Festival 2025 Incontro al futuro 84 Lo stivale regionale dei Formaggi d’Italia: La Calabria 89 Il mondo in Camera • CCIS Lugano compie 10 anni • ITALIAN TECH FORUM: successo internazionale per la prima edizione • Trittico vitivinicolo in Veneto: la CCIS nel panel dei relatori • L’innovazione che trasforma il mondo Yex Lugano dialoga con Federico Faggin • I prossimi appuntamenti La Rivista · Gennaio -Marzo 2025 3
Nelle economie avanzate, secondo il parere del Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta all’assemblea Forex che s’è svolta al Lingotto di Torino, l’inflazione è in lieve calo e si sta avvicinando agli obiettivi delle banche centrali, che stanno progressivamente allentando la stretta monetaria attuata in precedenza. Contagio e svolta dalla Germania? di Corrado Bianchi Porro internazionale prevede una crescita globale stabile, poco sopra il 3% sia quest’anno che nel 2026. La previsione a medio termine, pari al 3,1%, rimane tuttavia contenuta in una prospettiva storica. Vero è che c’è il problema dei dazi americani, ma alcuni prodotti cinesi vengono esportati negli Stati Uniti passando per il Messico, il Vietnam o Taiwan. Le aziende cinesi stanno poi aprendo impianti produttivi in paesi non soggetti a restrizioni come pure in quelli che stabiliscono imposte dall’estero. La frammentazione riduce l’efficienza del commercio mondiale, aumentando i costi delle merci e rendendo le catene di approvvigionamento più complesse e vulnerabili. Il surplus della Cina verso l’economia americana ammontava nel 2024 a circa 300 miliardi di dollari, vale a dire un terzo dell’avanzo commerciale complessivo cinese e un quarto del disavanzo degli Stati Uniti. Secondo le nostre stime, dice Fa eccezione il Giappone, dove il rialzo dell’inflazione ha spinto la Banca centrale ad aumentare i tassi ufficiali allo 0,5%, il livello più alto da diciassette anni. Rispetto al passato, la disinflazione è stata dunque più rapida e meno penalizzante per l’attività economica. In Cina in effetti l’inflazione al consumo è pressoché nulla e alla produzione è negativa da due anni, esponendo l’economia al rischio di deflazione. In Brasile, Turchia e Argentina, il costo della vita resta invece elevato, costringendo le banche centrali a mantenere condizioni monetarie restrittive. Negli Stati Uniti la crescita è pure elevata, trainata dall’aumento dei consumi delle famiglie, a sua volta alimentato dall’incremento dell’occupazione e dei salari, oltre che dai guadagni conseguiti nei mercati borsistici. Guardando avanti, il Fondo monetario La Rivista Italiche La Rivista · Gennaio -Marzo 2025 4
Panetta, se i dazi annunciati dagli Usa fossero attuati, magari accompagnati da misure di ritorsione, la crescita del PIL globale si ridurrebbe dell’1,5%. Per l’economia statunitense l’impatto supererebbe i 2 punti. Per l’area dell’euro le conseguenze sarebbero più contenute, intorno allo 0,5%, con effetti maggiori per Germania e Italia. Le guerre commerciali danneggiano la crescita Dato l’eccesso di capacità produttiva nel ramo industriale, da alcuni anni le aziende cinesi stanno riducendo i prezzi dell’export, registrando un forte aumento delle vendite estere e delle quote di mercato nelle economie emergenti. L’esperienza storica mostra che le guerre commerciali danneggiano comunque la crescita, anche nei paesi che le avviano. I dazi non garantiscono infatti una riduzione sensibile del disavanzo delle partite correnti. La guerra commerciale avviata dalle misure protezionistiche circa un secolo fa, nel 1930, ad esempio, contribuì solo ad aggravare la Grande Depressione. Nel frattempo, l’economia dell’area dell’euro fatica a ritrovare slancio ed efficacia. La domanda interna manca di forza. Il tasso di risparmio raggiunge livelli elevati in Francia come in Italia, sostenuto dall’aumento dei rendimenti reali e dal desiderio delle famiglie di ricostituire la ricchezza erosa dall’ultimo shock inflazionistico. A soffrire di più è il settore manifatturiero, che continua a perdere quote di mercato a favore dei produttori cinesi. Questa tendenza, in atto da anni, è particolarmente accentuata nel settore dell’auto, che rappresenta uno dei pilastri dell’industria europea. Questo settore rappresenta infatti circa il 9% del valore aggiunto della manifattura nell’area euro e addirittura il 16% in Germania. A ogni addetto nel settore automobilistico corrispondono, nel totale delle attività stimate della filiera, l’1,8 in Italia e in Spagna e l’1,6 in Francia e Germania. L’Europa deve in sostanza adottare un nuovo modello di sviluppo che valorizzi il mercato unico e riduca la sua dipendenza da fattori esterni. In cima alla lista vanno ricordati i settori innovativi, che rappresentano il motore della produttività; in particolare quelli legati alla doppia transizione, ambientale e digitale, che svolgono un ruolo cruciale per l’autonomia strategica europea, come per altro avviene nel caso dell’energia. Per l’Italia, quasi la metà delle aziende manifatturiere che vendono in Germania ha visto ridursi le proprie esportazioni in quel mercato, con ripercussioni negative sulla produzione industriale, già in calo dal 2022. Ottimi progressi in termini di stabilità finanziaria Di fatto, ribadisce il Governatore, attraverso il commercio internazionale le difficoltà dell’economia tedesca si stanno via via trasmettendo a quella italiana. Il presidente di Assiom Forex, Massimo Mocio, a sua volta ha rammentato che lo Stato tedesco ha speso in questi anni più di 200 miliardi di euro per salvare le proprie banche. Con tutto ciò e nonostante le difficoltà recenti, le esportazioni italiane superano oggi quelle del 2019 di circa il 10%, mentre il saldo delle partite correnti è tornato ampiamente positivo grazie alla creatività e all’impegno degli industriali. Nelle più recenti indagini della Banca d’Italia presso le imprese rimane comunque prevalente la quota di aziende che prevede un’espansione degli investimenti nella prima metà del 2025. È comunque essenziale moltiplicare gli sforzi per completare gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e le riforme ad esso collegate, intervenendo tempestivamente in caso di ritardi. L’economia italiana ha registrato ottimi progressi in termini di stabilità finanziaria: la posizione patrimoniale netta sull’estero ha superato il 12% del PIL, con un miglioramento di oltre 35 punti percentuali rispetto al 2013; il settore bancario ha fortemente accresciuto la sua redditività e la sua dotazione di capitale; il mercato dei titoli pubblici è tornato liquido ed efficiente, attirando una base La Rivista · Gennaio -Marzo 2025 5
di investitori ampia e diversificata. Le banche, dal canto loro, dispongono di una solida dotazione patrimoniale, in grado di assorbire eventuali aumenti della domanda di finanziamenti. Il sistema finanziario italiano è poi oggi interessato da varie operazioni di concentrazione finanziaria e patrimoniale che coinvolgono banche e istituti di varie dimensioni, compagnie assicurative, società di gestione del risparmio e intermediari esteri. Queste operazioni sono favorite in primo luogo dall’abbondanza di capitale in eccesso nel settore bancario. Le operazioni previste e annunciate potrebbero, se correttamente attuate, colmare in tal modo il divario dimensionale tra i principali intermediari italiani e i concorrenti europei. Rafforzare la sorveglianza sui fornitori di servizi tecnologici Per rispondere infine ai rischi tecnologici della digitalizzazione, la UE ha introdotto il regolamento sulla resilienza operativa nel settore finanziario (DORA), che rafforza la sorveglianza sui fornitori di servizi tecnologici, la gestione dei rischi aziendali e test sulla capacità di resistere agli attacchi. La diffusione delle criptoattività richiede invece, secondo le autorità finanziarie, attenzione da parte delle aziende e intermediari, anche per il loro possibile utilizzo a fini illeciti. Con tutto ciò, l’Europa e l’Italia hanno pur in tempi difficili consolidato un sistema produttivo d’eccellenza, nonostante le difficoltà contingenti; possono contare su un capitale umano ampio e diffuso e di talenti straordinari; dispongono di risorse finanziarie in abbondanza, pronte a sostenere nuovi investimenti finanziando la crescita. Possono in sostanza costruire il proprio futuro con scelte coraggiose, visione e unità d’intenti, ha concluso il Governatore. Il presidente dell’Assiom Forex, Massimo Mocio, dal canto suo, ha messo in risalto il fatto che il risparmio dei cittadini europei migrerà comunque alla ricerca del miglior rapporto tra rischi e rendimenti, finanziando la crescita delle borse e del debito pubblico americano, dato che i mercati europei non sono integrati tra loro e spesso non abbastanza profondi e liquidi, pur con una quota pari al 15% del totale complessivo, non godendo di un contesto normativo uniforme. Seguendo gli auspici di Mario Draghi, egli ha auspicato con urgenza di definire il progetto di Banking Union per il mercato continentale. Il Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta durante il suo intervento all’assemblea La Rivista Italiche La Rivista · Gennaio -Marzo 2025 6
La geopolitica e i dazi frenano la crescita a livello internazionale ma la Confederazione in questo contesto si difende ancora bene nel complesso. La buona resilienza della Svizzera e il complicato quadro mondiale di Lino Terlizzi come nel flash) rispetto al trimestre precedente, quando la crescita era stata dello 0,2%. C’è stata quindi un’accelerazione negli ultimi tre mesi dell’anno scorso. Per quel che riguarda l’aumento annuo del PIL nell’intero 2024, questo è stato dello 0,9% (non 0,8% come nel flash), una percentuale certo non grande ma che va valutata positivamente considerando, come detto, il complicato quadro internazionale. Se da un lato è vero che si tratta di un rallentamento rispetto all’1,2% del 2023, dall’altro occorre dire che la Svizzera ha ancora una volta evitato la recessione, cioè un calo del PIL, elemento questo da non sottovalutare. Da questo punto di vista, il fatto che il PIL elvetico stia viaggiando al di sotto della media di lungo periodo indicata dalla SECO (1,8%) va relativizzato, perché è scontato che in un quadro mondiale come l’attuale il passo dell’economia non possa essere molto robusto. Ma è rilevante che quantomeno si rimanga in area crescita. Se si guarda al lato della produzione, sempre a valori destagionalizzati e al netto di eventi sportivi (la Svizzera è sede di grandi organizzazioni dello sport), si può vedere come nel 2024 la crescita complessiva dello 0,9% sia venuta da questo andamento dei rami economici: industria manifatturiera 0,9% pure, costruzioni Le acque internazionali sono molto agitate, per via della geopolitica più che dell’economia. Quest’ultima ha mostrato nell’insieme una buona tenuta, ma non può che risentire delle frenate dovute alle tensioni geopolitiche. Con uno scenario geopolitico meno pesante, l’economia mondiale chiaramente potrebbe andare ancor meglio. In questo quadro la Svizzera è tra i Paesi industrializzati che più hanno avuto resilienza dal punto di vista economico. Naturalmente la crescita elvetica non è né potrebbe essere a livelli elevati in una fase come l’attuale, ma le cifre sono apprezzabili tenendo conto del contesto. Vediamo come l’economia svizzera ha chiuso il 2024 e quali previsioni vengono fatte per quel che riguarda il 2025 e il 2026. La SECO sul PIL 2024 I dati sul 2024 forniti in febbraio dalla Segreteria di Stato dell’economia (SECO) confermano la resilienza della Svizzera. Le cifre finali sul Prodotto interno lordo (PIL) nel quarto trimestre dell’anno scorso e nell’intero 2024 sono un po’ superiori a quelle indicate dalla stessa SECO nella sua stima flash. Nel quarto trimestre dell’anno passato il PIL elvetico al netto degli eventi sportivi è cresciuto dello 0,5% (non 0,4% La Rivista Elvetiche La Rivista · Gennaio -Marzo 2025 7
1,4%, commercio -1%, alloggio e ristorazione 3,2%, finanza e assicurazioni -0,4%, servizi alle imprese 0,3%, amministrazione pubblica 1,7%, sanità e sociale 3,7%, arte-intrattenimento-divertimento -0,3%, altri rami 1,6%. Il lato della spesa consente d’altro canto di vedere in che modo l’incremento del Prodotto interno lordo nel 2024 sia venuto dai vari comparti dell’economia. La fotografia indica consumi delle famiglie 1,8%, consumi delle amministrazioni pubbliche 1,9%, investimenti in beni di equipaggiamento -2,6%, investimenti in costruzioni 2,4%, esportazioni di beni 0,1%, esportazioni di servizi 2,6%, importazioni di beni 2,7%, importazioni di servizi 5,3%. In pratica, su questo versante solo un comparto ha avuto il segno negativo, mentre tutti gli altri hanno mantenuto in varia misura il segno positivo. Il pro capite In occasione della stima flash sulla crescita economica, la SECO ha anche diffuso una serie di dati sul PIL pro capite svizzero, che si ottiene dividendo il PIL complessivo per il numero di abitanti. Nel 2024 il PIL pro capite è diminuito dello 0,2%, in virtù in sostanza dell’aumento della popolazione. Un calo limitato, che non cambia la buona situazione elvetica. In qualche anno può anche accadere che il PIL pro capite non cresca, proprio perché è legato anche al numero di abitanti, ma occorre considerare che la Svizzera ha da tempo valori alti, che la pongono nel gruppo di testa nelle classifiche internazionali. Prendendo le stime basate sui dati del Fondo monetario internazionale (FMI), per il PIL nominale complessivo la Svizzera è al 20. posto nel mondo, ma per il pro capite è al 2. posto; per il PIL complessivo a parità di potere d’acquisto è al 37. posto, ma nel pro capite relativo è al 6. posto. La stessa SECO ha indicato per il 2024 un PIL nominale elvetico di 935 miliardi di dollari, che diviso per i circa 9 milioni di abitanti fornisce un PIL pro capite di 103 mila dollari, contro gli 86 mila degli USA, i 55 mila della Germania, i 46 mila della Francia, i 40 mila dell’Italia. Le prospettive 2025 e 2026 E veniamo alle previsioni per quest’anno e per il prossimo, fornite in marzo sempre dalla SECO. Qui va fatta una premessa. Viste le incertezze sull’evoluzione dello scenario mondiale, in cui purtroppo ci sono anche conflitti bellici e contrasti su dazi e commerci, è stato indicato il quadro delle previsioni del gruppo di esperti della Confederazione, ma accanto a questo sono stati indicati anche altri due possibili scenari, uno negativo e uno positivo. Né nello scenario prevalente (in sostanza una via di mezzo), né in quello negativo, né ovviamente in quello positivo, la Svizzera è vista in recessione. Guardando sempre al PIL al netto degli eventi sportivi, la crescita economica elvetica dovrebbe essere dell’1,4% nel 2025 e dell’1,6% nel 2026. Questo dopo l’1,2% e lo 0,9% rispettivamente del 2023 e del 2024. Nonostante una riduzione dello 0,1 rispetto alle previsioni del dicembre scorso, il quadro per la Svizzera è dunque ancora di buona tenuta economica. Il punto principale, secondo molti esperti anche di altri Paesi, è che la Svizzera continua ad avere un passo ragionevole, nonostante le forti tensioni economiche e geopolitiche presenti nel mondo. La stessa SECO ha richiamato “l’incertezza che incombe sulla politica commerciale e sulla politica economica”. In altre parole, viene indicata l’incertezza causata dall’aumento di mosse protezionistiche e in particolare dalla L’economia svizzera mostra una buona tenuta, ma non può che risentire delle frenate dovute alle tensioni geopolitiche. Un’affermazione condivisa dalla direttrice della Segreteria di Stato dell'economia (SECO), Helene Budliger Artieda La Rivista · Gennaio -Marzo 2025 8
guerra dei dazi varata del presidente USA Trump, che provoca anche risposte analoghe da parte dei Paesi colpiti. Le previsioni della SECO si basano “sull’ipotesi che non ci sarà un’escalation della guerra commerciale mondiale”. Visto però che le incertezze “sono eccezionalmente pronunciate”, la Segreteria di Stato dell’economia ha delineato come si diceva anche due altri scenari possibili. Se ci fossero sviluppi estremi nella guerra commerciale, l’indebolimento economico internazionale avrebbe ripercussioni notevoli sul commercio estero svizzero e sulla congiuntura nel nostro Paese, ha affermato la SECO. In questo caso, la crescita economica elvetica potrebbe fermarsi all’1,1% nel 2025 e allo 0,8% nel 2026. Se invece la domanda mondiale e la congiuntura in Europa si sviluppassero con modalità più favorevoli, ad esempio sull’onda di programmi fiscali come quello della Germania, allora l’export svizzero potrebbe aumentare, con un conseguente incremento della crescita elvetica. In questo secondo caso, per la SECO il PIL svizzero potrebbe aumentare dell’1,4% nel 2025 e del 2% nel 2026. Inflazione, tassi, lavoro Riprendendo lo scenario intermedio prevalente, la SECO prevede per la Svizzera un’inflazione media annua dello 0,3% nel 2025 e dello 0,6% nel 2026. Questo dopo che nel 2023 e nel 2024 le percentuali sono state rispettivamente del 2,1% e dell’1,1%. Si conferma quindi la tendenza a un rincaro molto basso in Svizzera, con un’inflazione che è stata ricondotta dentro gli argini (la fascia-obiettivo della Banca nazionale svizzera è 0%-2%), dopo gli aumenti del biennio 2022-2023. I rialzi del tasso guida sul franco hanno avuto i loro effetti anti rincaro e d’altronde la forza della moneta elvetica ha contribuito, rendendo di fatto meno costoso l’import, ad abbassare l’inflazione. Per quel che riguarda la disoccupazione in Svizzera, le previsioni della SECO sono di un tasso del 2,8% sia nel 2025 sia nel 2026. Si tratta chiaramente di un aumento rispetto al 2% del 2023 e al 2,4% del 2024. Il rallentamento economico ha avuto conseguenze anche sul mercato del lavoro e questo è senza dubbio un fatto negativo. Anche un solo disoccupato in più è qualcosa che spiace e che non va bene. Ma occorre dare sempre un giudizio equilibrato e vale dunque la pena di notare che la disoccupazione resta bassa in Svizzera e che il danno per la forza lavoro, se rimarrà nelle proporzioni indicate, sarà nel complesso contenuto. Anche la Banca nazionale svizzera (BNS) in marzo ha detto la sua sulla situazione e sulle prospettive economiche della Confederazione elvetica. Lo ha fatto in occasione della sua presa di posizione periodica sulla politica monetaria. La BNS ha annunciato un nuovo taglio del tasso guida sul franco, ridotto dallo 0,50% allo 0,25%. In questo modo la Svizzera è approdata al tasso di riferimento più basso nel plotone dei Paesi sviluppati, inferiore anche a quello del Giappone, Paese che ha tradizionalmente un costo del denaro molto limitato e che però era ancora allo 0,50% nel momento in cui la BNS ha fatto quest’ultima mossa. La posizione della BNS Le ragioni principali che hanno portato la BNS a questa nuova riduzione sono tre: offrire un ulteriore sostegno alla crescita economica, rendendo meno caro il denaro; la presa d’atto di un’inflazione elvetica che è tornata a essere molto bassa; concretizzare un nuovo freno all’ascesa del franco, che, quando diventa troppo forte, crea alcuni ostacoli in più all’export svizzero. Per quel che riguarda la crescita economica svizzera, la BNS ha affermato di prevedere un aumento del PIL tra l’1% e l’1,5% nel 2025 e di circa l’1,5% nel 2026. Si tratta di cifre molto vicine a quelle della SECO. La tenuta elvetica è dunque buona, ma la BNS guarda anche al rallentamento internazionale e dà quindi uno strumento in più con la riduzione dei tassi di interesse. A livello di inflazione, l’istituto centrale ha dichiarato di prevedere una media annua svizzera dello 0,4% nel 2025 e dello 0,8% nel 2026. Sul mercato del lavoro la BNS non ha fornito cifre ma ha indicato che con questo contesto internazionale “è probabile che la disoccupazione continui a salire leggermente”. Dove il salire è negativo ma il leggermente è, almeno in parte, rassicurante. La forza della moneta elvetica ha contribuito, rendendo di fatto meno costoso l’import, ad abbassare l’inflazione La Rivista Elvetiche La Rivista · Gennaio -Marzo 2025 9
Ha tenuto banco in queste ultime settimane nel dibattito politico europeo il piano per la difesa presentato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen al Parlamento dell’Unione lo scorso 11 marzo. Un riarmo discusso e i dazi alle porte di Viviana Pansa za”. Un accelerante per quest’ultimo argomento è stata senza dubbio la rielezione alla Casa Bianca di Donald Trump, la cui manifesta intenzione è ora quella di concentrarsi sullo scenario nazionale e sulla sua sfera di prossimità geografica, ridimensionando la presenza statunitense nel contesto internazionale. Il piano europeo in 5 punti, denominato ReArm Europe – un titolo che è sembrato comunque dare troppo risalto all’aspetto militaristico della materia – prevede di mettere in campo una forza deterrente contro possibili attacchi all’Europa unita e colmare il deficit di sicurezza oggi presente “con passi graduali ma con il coraggio che la situazione richiede” – ha detto Von der Leyen. Per incentivare gli investimenti nel settore, gli Stati membri potranno sforare i limiti imposti dal Patto di stabilità e in questo modo la Commissione auspica un aumento della loro spesa per la difesa all’1,5% del Pil, così da generare 650 miliardi di investimenti nei prossimi 4 anni. Ad essi si aggiungeranno 150 miliardi euro che la Commissione intende rendere disponibili attraverso un meccanismo analogo a quello del Recovery Fund, ossia reperendo capitale privato sui mercati attraverso l’emissione di titoli europei che saranno gli Stati a ripagare restituendo i prestiti. Tali risorse andrebbero utilizzate per coordinare acquisti congiunti utili a Un progetto, annunciato e discusso anche negli ultimi incontri del Consiglio europeo, che ha ottenuto il sì dell’Europarlamento con una risoluzione approvata da 419 deputati, 204 voti contrari e 46 astenuti, al termine di un acceso confronto che ha spaccato gli stessi partiti europei al loro interno. La pace non può essere data per scontata Presentando il piano, la Presidente della Commissione ha evidenziato i tempi pericolosi che contraddistinguono il quadro politico internazionale attuale e che sembrano destinati ad acuirsi anche in futuro. Ha poi sottolineato come l’Europa sia “pronta ad aumentare massicciamente la spesa per la difesa”, perché la pace “non può essere data per scontata” nel Vecchio continente, specie alla luce di quanto sta avvenendo in Ucraina e vista l’impossibilità di “integrare la Russia nell’architettura economica e della sicurezza europea”. Von der Leyen ritiene dunque necessario “agire con la velocità e l’ambizione necessarie” per “incrementare massicciamente la spesa per la difesa, sia per rispondere all’urgenza a breve termine di agire e sostenere l’Ucraina, sia per affrontare la necessità a lungo termine di assumerci una maggiore responsabilità per la nostra sicurezLa Rivista Europee La Rivista · Gennaio -Marzo 2025 10
potenziare la rete europea di difesa anti-aerea, sistemi anti-droni, sistemi di difesa informatica e cibernetica, oltre che acquisti di missili e munizioni. Le due iniziative insieme potranno dunque mobilitare 800 miliardi di euro nel breve periodo, secondo le aspettative della Commissione, per giungere così ad un investimento complessivo europeo in difesa del 3,5%, ben oltre quindi la soglia del 2% del Pil nazionale fissata nel 2014 quale contributo per la NATO. La politica di difesa è di competenza degli Stati membri Si tratta di un primo passo già annunciato nel discorso di Von der Leyen all’indomani della sua riconferma alla guida dell’esecutivo europeo e che resta limitato alla parte finanziaria necessaria al rafforzamento dell’industria della difesa e della sua competitività, perché – come ha chiarito anche la vicepresidente esecutiva della Commissione Henna Virkkunen pochi giorni prima dell’incontro del Consiglio europeo del 20 marzo – “la politica di difesa è di competenza degli Stati membri”. E proprio nelle conclusioni di questo incontro del Consiglio viene riportata la richiesta di accelerare “su tutti i filoni per potenziare in modo decisivo la prontezza dell’Europa alla difesa nel corso dei prossimi cinque anni”. “Il Consiglio europeo – prosegue il documento - ricorda che un’Unione Europea più forte e più capace nel settore della sicurezza e della difesa contribuirà positivamente alla sicurezza globale e transatlantica ed è complementare alla NATO, che, per gli Stati che ne sono membri, resta il fondamento della loro difesa collettiva”. Sull’importanza della sicurezza europea si è soffermato anche Mario Draghi intervenendo il 17 marzo scorso alle Commissioni riunite Bilancio, Attività produttive e Politiche UE di Camera e Senato per illustrare il Rapporto sul futuro della competitività europea affidatogli dalla Presidente della Commissione Von der Leyen. “L’Unione Europea ha garantito per decenni ai suoi cittadini pace, prosperità, solidarietà e, insieme all’alleato americano, sicurezza, sovranità e indipendenza – ha affermato Draghi, ricordando come questi siano i valori costituenti della nostra società e come la nostra sicurezza sia oggi messa in dubbio - dal cambiamento nella politica estera del nostro maggior alleato rispetto alla Russia che, con l’invasione dell’Ucraina, ha dimostrato di essere una minaccia concreta per l’Unione”. Per questo oggi “l’Europa è più sola nei fori internazionali e si chiede chi difenderà i suoi confini in caso di aggressione esterna – e con quali mezzi”. Superare i modelli nazionali La difesa resta dunque una delle maggiori vulnerabilità a cui è esposta l’Unione, trattata nella terza parte del Rapporto, in cui si insiste sulla necessità di definire una catena di comando di livello superiore che coordini eserciti eterogenei per lingua, metodi, armamenti e che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema di difesa continentale. “Dal punto di vista industriale ed organizzativo questo vuol dire favorire le sinergie industriali europee concentrando gli sviluppi su piattaforme militari comuni (aerei, navi, mezzi terrestri, satelliti) che consentano l’interoperabilità e riducano la dispersione e le attuali sovrapposizioni nelle produzioni degli Stati membri” – ha spiegato Draghi, chiarendo che il piano di investimenti della Commissione dovrebbe contribuire a superare proprio l’attuale frazionamento delle piattaforme di difesa messe in campo dai diversi Stati. Sistemi di difesa che, oltre che frazionati, non sono competitivi, e lo La vicepresidente esecutiva della Commissione Henna Virkkunen ricorda che “la politica di difesa è di competenza degli Stati membri” La Rivista · Gennaio -Marzo 2025 11
dimostra il fatto che per una larga parte di acquisti gli Stati europei si rivolgano agli Stati Uniti. Un investimento coordinato garantirebbe invece un maggior ritorno industriale per l’Europa – sottolinea Draghi – contribuendo anche a ristabilire un rapporto più equilibrato con l’alleato atlantico anche sul fronte economico. Viene inoltre ricordato che la difesa oggi “non è più solo armamento ma anche tecnologia digitale”, per cui bisogna dotarsi di una “strategia continentale unificata per il cloud, il supercalcolo, l’intelligenza artificiale, la cyber sicurezza”, iniziando un percorso che superi i modelli nazionali. A rischio la prosperità economica A mettere a rischio la sicurezza, intesa come prosperità economica europea, è anche la politica protezionistica annunciata da Trump, con dazi, tariffe e politiche commerciali che avranno forte impatto sulle imprese italiane ed europee. L’ultima parte del dossier presentato da Draghi al Parlamento italiano è proprio un approfondimento dedicato ai dazi sulle importazioni negli Stati Uniti, scattati già dal 12 marzo nei confronti dell’Unione per l’alluminio e l’acciaio, inclusi alcuni prodotti da essi derivati. Secondo le stime della Commissione europea, i dazi interesseranno un totale di 28 miliardi di euro di esportazioni UE, che corrispondono a circa il 5% delle esportazioni totali di merci UE verso gli Stati Uniti; inoltre, sulla base degli attuali flussi di importazione, gli importatori statunitensi dovranno pagare fino a 6 miliardi di euro in dazi doganali aggiuntivi. Nel dossier sono illustrati gli strumenti di reazione dell’UE ai dazi imposti dai Paesi terzi e le contromisure possibili. In particolare, in assenza di un accordo, sono previsti meccanismi di riequilibrio che dovrebbero rispondere al danno economico arrecato alle esportazioni di acciaio e alluminio dell’UE per un valore di 8 miliardi di euro. È prevista inoltre l’imposizione di un nuovo pacchetto di misure aggiuntive che entreranno in vigore entro metà aprile, dopo la consultazione degli Stati membri e delle parti interessate, per rispondere ai nuovi dazi statunitensi che interessano oltre 18 miliardi di euro di esportazioni UE. In merito ai dati sul commercio tra Stati Uniti e Unione Europea, il dossier ricorda che gli Stati Uniti sono il principale partner dell’UE per l’esportazione e il secondo per l’importazione di merci. Sono inoltre il partner più importante dell’UE sia per l’importazione che per l’esportazione di servizi. Gli scambi complessivi bilaterali di beni e servizi hanno raggiunto, secondo i dati Eurostat, circa 1600 miliardi di euro nel 2023 (circa 4,4 miliardi al giorno). Il totale degli scambi bilaterali di merci è stato pari a 851 miliardi di euro: l’UE ha esportato 503 miliardi di merci verso il mercato statunitense, mentre ne ha importate 347 miliardi, con un surplus di 157 miliardi di euro. Il totale degli scambi bilaterali di servizi ammonta a 746 miliardi di euro nel 2023: l’UE ha esportato 319 miliardi di euro di servizi verso gli Stati Uniti, mentre ne ha importati 427 miliardi; ciò si è tradotto in un disavanzo commerciale dei servizi pari a 109 miliardi di euro per l’UE. L’UE ha quindi registrato nel 2023 un surplus complessivo di 48 miliardi, pari a circa il 3% del volume totale degli scambi di beni e servizi. Gli Stati Uniti sono anche uno dei principali partner commerciali dell’Italia: sono la prima destinazione extra-UE dell’export italiano di beni e di servizi e la prima in assoluto per gli investimenti diretti all’estero. Nel 2024 le vendite di beni italiani negli USA sono state pari a circa 65 miliardi di euro, generando un surplus vicino a 39 miliardi. Quasi tutti i settori manifatturieri italiani godono di un surplus commerciale con gli Stati Uniti, mente un deficit è registrato nel settore primario, specie per acquisti di gas naturale, che hanno contribuito a sostituire le forniture russe. Per questo anche l’Istat ritiene che l’applicazione dei dazi preannunciati dall’amministrazione statunitense nei confronti dell’UE potrebbe avere effetti rilevanti sul nostro paese ed è importante offrire una risposta proporzionata ad una politica di stampo protezionistico che ha già cominciato ad incidere negativamente sui mercati. Mario Draghi ha illustrato il Rapporto sul futuro della competitività europea affidatogli dalla Presidente della Commissione Von der Leyen La Rivista Europee La Rivista · Gennaio -Marzo 2025 12
La Rivista Geopolitiche Lo splendido tramonto della globalizzazione di Pietro Meineri* Con questa rubrica offriamo uno strumento per interpretare gli scenari geopolitici attuali, sempre più rilevanti per ogni attività umana ed economica. Come da tradizione annuale, nel gennaio 2025 il World Economic Forum di Davos ha riunito i protagonisti della finanza, della politica e dell’impresa per discutere il futuro dell’economia globale. Nelle stesse giornate, a Washington, si insediava la nuova amministrazione statunitense. Il 47º presidente, intervenuto in videoconferenza al WEF, ha delineato la sua agenda, ma il suo discorso non era davvero rivolto all’uditorio di Davos. I nuovi padroni di Washington guardano con sospetto il cosmopolitismo dell’élite globale e l’architettura politico-economica dell’ultimo trentennio, accusata di aver defraudato l’America. A dissipare ogni dubbio ci ha pensato il vicepresidente JD Vance: alla Conferenza di Monaco, le sue critiche frontali a governi e istituzioni europee hanno lasciato attonita una platea non troppo diversa da quella di Davos. Anche il gotha dell’economia americana, rapido nell’adeguarsi al nuovo corso, sperando in politiche pro-crescita, osserva con inquietudine la determinazione dell’amministrazione nell’attuare la propria agenda, anche accettando il rischio di recessioni e cali di borsa. Quello che si derubricava a postura elettorale si rivela ora un obiettivo strategico. Per chi sperava nella continuità con il passato, è il momento del risveglio. L’orologio della storia Torna alla mente l’incipit di un capolavoro della divulgazione storica, I cannoni di agosto di Barbara Tuchman. Il libro si apre con il funerale di re Edoardo VII in una mattina di maggio del 1910. Siamo a Londra, all'apogeo dell'Impero britannico. Il corteo funebre è aperto da nove sovrani a cavallo, in alta uniforme, elmi piumati e sash dorati. Attorno al nuovo re d’Inghilterra Giorgio V cavalcano i re di Norvegia, Bulgaria, Portogallo, Grecia, Belgio, Spagna e Danimarca. Ma soprattutto l’ingombrante cugino Willy, l’imperatore tedesco Guglielmo II, i cui gesti e le cui dichiarazioni erano croce e delizia della stampa dell’epoca. Ognuno può cercare riferimenti all’attualità come preferisce. L’autrice chiude la scena con una frase dal potere evocativo straordinario, che merita di essere riportata in lingua originale: “The muffled tongue of Big Ben tolled nine by the clock as the cortege left the palace, but on history's clock it was sunset, and the sun of the old world was setting in a dying blaze of splendor never to be seen again”. (“La lingua ovattata del Big Ben rintoccò le nove dell'orologio mentre il corteo lasciava il palazzo, ma per l'orologio della storia era il tramonto, e il sole del vecchio mondo stava tramontando in un'esplosione di splendore che non si sarebbe mai più vista”). Solo quattro anni dopo, nell'estate del 1914, il tramonto cede il passo alla notte: il 28 luglio l’Austria-Ungheria dichiara guerra alla Serbia e il meccanismo imperscrutabile di alleanze e mobilitazioni si attiva. In pochi giorni le armate tedesche avanzano sulla Francia attraverso il Belgio. Il 4 agosto la Gran Bretagna dichiara guerra alla Germania. Per l’opinione pubblica britannica, il cugino Willy diventa presto l’odiato Kaiser, sovrano di barbari Unni. I cannoni di agosto tuonano a lungo, sconvolgendo l’Europa e il mondo per quattro lunghi anni. Il 3 agosto del 1914, il ministro britannico Edward Grey annotava: "Si spengono le luci in tutta Europa. Nel corso della nostra vita non le vedremo più riaccese". Gli uomini della sua generazione, maturati nell’Europa padrona del globo, non avrebbero più visto un mondo simile, la prima grande globalizzazione. Decenni di crescita e interconnessione economica, tali che la guerra tra nazioni civili, come La Rivista · Gennaio -Marzo 2025 13
si usava dire all’epoca, era da alcuni giudicata assurda: la grande illusione che dà il titolo al libro di Norman Angell del 1909. Opera spesso travisata, in cui la guerra non era ritenuta impossibile, bensì inutile, priva di beneficio anche per i vincitori. Non un crimine, ma peggio: un errore. Eppure, l’errore fu commesso. Un ordine internazionale basato su regole Negli ultimi tre decenni gran parte dell’umanità ha vissuto la seconda globalizzazione, spesso data per morta ma mai davvero seppellita. Il lato economico della globalizzazione è ben noto: un’impennata senza precedenti negli scambi commerciali, l’uscita dalla povertà di centinaia di milioni di persone, soprattutto in Asia. Gli effetti per le economie avanzate sono stati ambivalenti: la crisi di interi settori, soprattutto manifatturieri, ha alimentato ondate di malcontento sociale e rivoluzioni politiche, che spesso ripetiamo come una litania, dalla Brexit a seguire. Meno considerato è l’assetto istituzionale che ha reso possibile la globalizzazione, il cosiddetto ordine internazionale basato sulle regole. Non interessa in questa sede approfondirne gli aspetti teorici, come aggiudicare la priorità logica tra economia, politica e diritto, né dibattere su quanto questo ordine fosse compiuto, a chi giovasse e a chi nuocesse: è innegabile che questo assetto, pur con imperfezioni e asimmetrie, abbia fornito un contesto stabile per l’internazionalizzazione degli affari. Sebbene alcune regioni fossero escluse da questo grande circuito, si trattava di eccezioni che confermavano la regola. La stragrande maggioranza delle attività economiche si svolgeva in Paesi in cui la logica del mercato – per quanto talvolta condizionata da corruzione o arbitrarietà politica – aveva l’ultima parola. In questo contesto, CEO e consigli di amministrazione potevano prendere decisioni strategiche basandosi su analisi di flussi finanziari, imposizione fiscale e costo del lavoro, senza dover necessariamente considerare implicazioni geopolitiche. Spesso si trascura la natura contingente di questo assetto, emerso dalle macerie del mondo post-1945, in cui i vincitori ridisegnarono l’architettura delle relazioni tra Stati ponendo principi fondamentali come il divieto della guerra di aggressione. L’assetto che, dopo la fine della Guerra Fredda, ha creato le premesse per la globalizzazione degli ultimi trent’anni, inaugurata nel momento unipolare degli Stati Uniti. Il sistema ha affrontato molte crisi e non ha mai adempiuto a tutte le sue promesse. È però sopravvissuto, perché la maggior parte degli attori chiave preferiva mantenerlo piuttosto che rovesciare il tavolo. Oggi questa condizione non è più garantita al di là di ogni ragionevole dubbio. Il ruolo preminente degli Stati Uniti, la sicurezza garantita ai commerci marittimi, un consenso di massima sui benefici del libero scambio, l’assenza di conflitti tra grandi potenze: i presupposti sono messi in discussione, uno dopo l’altro. Dall’età dell’oro all’età del ferro La competizione tra Stati Uniti e Cina delinea ormai da alcuni anni, tra i possibili scenari, quello di un radicale ridimensionamento dell’interscambio o un vero decoupling, che le aziende fronteggiano ristrutturando catene di fornitura, riposizionando impianti e riconsiderando strategie di investimento. Principi fino a ieri considerati intangibili – come l’immutabilità dei confini e il divieto di conquiste territoriali – sono messi in discussione in termini inediti. Il continente europeo, che per decenni ha pensato di poter essere potenza civile ed economica senza essere soggetto politico e militare, è colto in contropiede. Un sistema costruito per l’età dell’oro si risveglia in un mondo di ferro. Principi fino a ieri considerati intangibili – come l’immutabilità dei confini e il divieto di conquiste territoriali – sono messi in discussione in termini inediti La Rivista · Gennaio -Marzo 2025 14
In questo contesto, il business non può relegare la geopolitica a una nota a piè di pagina. Non a caso, lo stesso World Economic Forum ha rilasciato di recente vari studi su come le imprese possono affrontare il tema geopolitico. Pubblicazioni simili sono ormai una costante per associazioni di categoria, realtà accademiche e società di consulenza. Il rischio geopolitico è ormai regolarmente in testa tra i rischi principali riportati dai manager. Si infoltisce la schiera di chi riconosce il cambiamento di paradigma. Le pratiche consolidate nell’ultimo ciclo devono essere rielaborate alla luce dei nuovi scenari. Similmente ai generali che combattono le guerre del passato, così i capitani d’industria rischiano grosso nel continuare con il business as usual in un mondo diverso, in cui gestire il fattore geopolitico passa dall’eccezione alla regola. Così come l’aspetto finanziario o altri ambiti di core business richiedono supervisione costante e risorse adeguate, qualcosa di simile dovrà gradualmente emergere per il fattore geopolitico. Le aziende dovranno dotarsi delle competenze e sensibilità necessarie, con risorse interne o esterne. Attività quali strategia aziendale, finanza e consulenza legale non potranno fare a meno di incorporare il fattore geopolitico nei propri processi. I consigli di amministrazione saranno sempre più chiamati a considerare il fattore geopolitico e su di esso valutati. Travolti dal nuovo, che avanza e…distrugge Non basterà un passivo e generico “rimanere al passo” con gli eventi, il cui susseguirsi può stordire e fuorviare, ma sarà necessaria la capacità di discernere ciò che conta e calarlo nel proprio dominio professionale. Sarà decisiva la conoscenza profonda del proprio business, dei punti di forza e di debolezza, per saperli coniugare nel nuovo mondo. I capitani d’industria non devono necessariamente temere questo mondo nuovo, in cui visione, eccellenza e fortuna resteranno fattori chiave. Semplicemente, cambieranno alcune regole del gioco, e anche i campioni del ciclo precedente non potranno vincere se continueranno a seguire i vecchi schemi. Tornando all'immagine iniziale, al corteo funebre del 1910 e al suo carico di solenni certezze: quei sovrani che cavalcavano per le strade di Londra non concepivano quanto fossero fragili le fondamenta del loro mondo. Non sospettavano che l’orologio della Storia stesse già segnando l’ora del tramonto. Oggi, i leader che si incontrano al World Economic Forum di Davos riconoscono, almeno a parole, che le condizioni del passato non sono più garantite. Le conferenze e le pubblicazioni sul tema iniziano a essere numerose. Gli studi su come ricalibrare il business offrono spunti interessanti, il dibattito è vivace. Possiamo cogliere questo come un motivo di ottimismo, ma senza illuderci che vi sia una garanzia di adattamento. Società e sistemi complessi, soprattutto se abituati a primeggiare nel vecchio mondo, faticano a riformarsi e rischiano di essere travolti dal nuovo che avanza e distrugge. Prima o poi si ricostruisce, certo. Tuttavia, se è possibile adeguare l'edificio per resistere all'onda in arrivo, perché non provarci? *Avvocato, presidente del Limes Club Svizzera e coordinatore del gruppo Geopolitics Network Group lanciato in collaborazione con la Camera di Commercio Italiana per la Svizzera Cambieranno alcune regole del gioco, e anche i campioni del ciclo precedente non potranno vincere se continueranno a seguire i vecchi schemi La Rivista Geopolitiche La Rivista · Gennaio -Marzo 2025 15
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