Oggi però i motivi congiunturali vengono meno, l’inflazione è in calo e in discesa si ritrovano anche i tassi d’interesse, con l’ultimo taglio del costo del denaro effettuato dalla BCE ai primi di giugno. Gioca evidentemente a sfavore il trend demografico e la minor dinamica degli investimenti. La manovra americana sui dazi ha in effetti aggiunto incertezza, con una prospettiva tendenziale di incremento delle tariffe del 10-11% per le merci denominate in euro, rispetto al 2,5% del periodo precedente, una volta cancellati i dazi reciproci. Le previsioni di incremento per il Pil dell’Italia per quest’anno si aggirano intorno allo 0,7%, pur se il primo trimestre dell’anno non è andato poi così male, grazie all’accelerazione dei programmi legati al PNRR. L’Italia è cresciuta mediamente più di quella europea nell’ultimo periodo. In particolare, nel 2025 anche a motivo della decrescita demografica e del minor costo della vita, a parità di potere d’acquisto, l’Italia ha raggiunto la Francia in termini di Pil pro capite. Dalla fine del 2019 il Pil italiano è cresciuto del 5,5%, rispetto al 4,1% della Francia e allo 0,2% della Germania, come ricordato dal governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta alla Giornata del Risparmio. Ci sono evidentemente ritardi da recuperare, ma dopo la crisi del decennio scorso, il sistema produttivo ha attraversato un profondo e doloroso processo di ristrutturazione e le imprese ne sono uscite rafforzate per reggere la maggiore pressione competitiva della Cina sui mercati internazionali. Diversificare i Paesi di sbocco Come reagire? Con una politica monetaria favorevole sul costo del denaro, mediante gli investimenti strutturali nelle infrastrutture permesse dal PNRR, grazie a uno snellimento delle restrizioni fiscali per un rilancio in filiera come avviene in Germania che rappresenta per noi sempre una locomotiva e intercettando le prospettive di crescita e di interscambio dei mercati in espansione come il Medio Oriente e Arabia Saudita, India, nord Africa, Paesi Asean, Turchia e sud America. Occorre diversificare i Paesi di sbocco. Si ricorda a questo proposito che l’incidenza dell’export verso gli Stati Uniti per le regioni italiane soggette alle incertezze sui dazi sono in primo luogo la Toscana con l’8,1%, l’Emilia Romagna col 6% e il Friuli Venezia Giulia al terzo posto con il 5,6%, mentre mediamente l’Italia è esposta all’export verso gli Stati Uniti col 3,3%, la Lombardia è al 3,1% e il Lazio all’1,6% come la Campania. La regione meno toccata è invece la Calabria con lo 0,2%. Insomma: gli indicatori non sono elevati nell’incidenza dell’export verso gli USA. Queste sono naturalmente le medie regionali, ma all’interno delle varie province si trovano variabili assai diverse. Per esempio, Como è esposta per il 6,7%, Lecco per il 7,3% e Varese per il 7,6%. A questo punto può essere opportuno studiare la possibilità di aprire filiali negli Usa e comunque puntare sulla qualità e l’innovazione di prodotto che meno risente dell’effetto Matteo Faggin (Smact), Claudia Sandei (Uni Padova), Alex Curti (ComoNEXT) nella sede di Confindustria La Rivista · Aprile - Giugno 2025 5
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