L’OROLOGIO CHE ESITA Il ticchettio era sbagliato Non nel modo in cui un vecchio orologio ansima prima di morire, né nel ritmo irregolare di un meccanismo in avaria. No, questo ticchettio era troppo preciso. Troppo misurato. Si muoveva con una premeditazione innaturale, ogni secondo scandito da uno scatto netto e calcolato... tic, tic, tic, come se il tempo stesso esitasse prima di compiere il suo prossimo inevitabile passo. Per secoli, gli orologiai hanno perfezionato l'illusione della continuità. La leggiadra e ininterrotta corsa della lancetta dei secondi sul quadrante era diventata sinonimo di eccellenza meccanica. Eppure, tra i maestri dell'orologeria esisteva un segreto, un paradosso sepolto negli annali del cronometraggio: la complicazione dei secondi morti. L'ironia della sua esistenza non sfuggiva a nessuno di coloro che ne comprendevano il funzionamento. Si trattava di un meccanismo di squisita complessità: ingranaggi aggiuntivi, leve delicate, ruote stellari e molle in tensione, che cospiravano tutti per far muovere la lancetta dei secondi con la brusca finalità di un orologio al quarzo. Ad un occhio inesperto, era indistinguibile dagli impostori digitali a basso costo che avevano invaso il mondo a partire dagli anni Settanta. Ma per coloro che comprendevano veramente il tempo, era un trionfo dell'ingegneria, un esercizio di perfezione meccanica raggiunto attraverso una deliberata moderazione. Le origini dei secondi morti si possono far risalire ai regolatori di precisione del XVIII secolo, con un contributo fondamentale da parte di George Graham. Intorno al 1715, Graham perfezionò lo scappamento a battuta (o dead-beat), un'innovazione che riduceva significativamente le perturbazioni al pendolo e permetteva una misurazione molto più precisa del tempo. L'Osservatorio Reale di Greenwich adottò questi regolatori astronomici con scappamento a battuta, che producevano un caratteristico 'tic' secco ad ogni secondo. Re Giorgio III (1738 - 1820), con il suo vivo interesse per la scienza, sostenne questi progressi nell'orologeria, essenziali per l'astronomia e la navigazione britannica. Quando gli astronomi dovevano registrare il momento esatto in cui un corpo celeste attraversava il mirino del loro telescopio, il ticchettio 'morto' di ogni secondo forniva la precisione necessaria. Questo principio di precisione nella misurazione del tempo sarebbe stato successivamente adattato agli orologi da polso per coloro che apprezzavano la vera eccellenza cronometrica. L'illusione di un tempo continuo Questa complessità richiedeva una precisione meticolosa. Un meccanismo di tipo "deadbeat" comprendeva in genere un treno di ingranaggi supplementare, un sistema di leve specializzato, almeno una molla supplementare e una ruota a stella. Questi elementi dovevano essere inseriti all'interno di un movimento orologiero già ristretto, aumentando sia lo spessore che i costi di produzione. L'assemblaggio era arduo e richiedeva la massima abilità artigianale, e solo pochi orologiai erano in grado di metterlo a punto. Il meccanismo dei secondi morti imponeva un grande dispendio di energia. Il salto istantaneo richiedeva che l'energia potenziale accumulata venisse rilasciata in una frazione di secondo, riducendo le riserve di energia del 20-30% rispetto ai movimenti senza questa complicazione. L'usura aggiuntiva dei componenti, l'aumento delle esigenze di manutenzione e la sollecitazione della molla hanno reso l'affidabilità una sfida continua. Per molti produttori, il costo era superiore alla ricompensa. di Sergio Galanti Dimenticata dal grande pubblico ma amata dagli intenditori, la complicazione dei secondi morti racconta una storia affascinante di precisione, filosofia e ingegno orologiero. La Rivista Visioni del tempo La Rivista · Aprile - Giugno 2025 48
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