La Rivista La Lingua batte dove... trovare tutta la tranquillità, una casettina in periferia, una mogliettina giovane e carina tale e quale come te. (…) Tempo fa ho fatto un giro nella Spagna settentrionale, tra i Paesi Baschi, la Cantabria e le Asturie. Là ho osservato le tristi conseguenze dell’emigrazione con case, sparse per la campagna deserta, abbandonate a sé stesse. Anche in certe zone dell’Italia è purtroppo così, non solo nei villaggi montani, ma perfino in molte periferie delle nostre città. Ogni casa racchiude la storia di persone che hanno investito le proprie energie in un progetto concepito per sé e per i propri discendenti. E ogni casa vuota rappresenta, a mio parere, il fallimento di un proposito di vita. Per questo motivo, quando mi trovo di fronte a edifici malridotti, magari circondati da giardini pieni di sterpaglie, mi chiedo che senso abbia tutta la bellissima retorica collegata con il concetto delle radici ridotte a semplici immobili che nessuno vuole più. Venditori di sogni Si è sempre detto che il possesso di una casa, anche di un piccolo appartamento in un condominio, è un investimento sicuro per il futuro. C’è chi ha preferito capitalizzare i propri soldi in borsa, con i rischi che ne derivano, e chi, invece, ha voluto puntare al mattone (con calce e cemento). In questo ragionamento c’è l’idea che tutti gli immobili sono in qualche modo vendibili. Per questo esistono abili venditori di sogni che si muovono fiutando affari di ogni tipo con sorrisi rassicuranti e vestiti eleganti. Per loro le case diventano semplici oggetti senza storia o identità e con prezzi fissati dal cosiddetto libero mercato dove le speculazioni dei furbetti sono inevitabili. Ma che cosa succede quando una casa non viene venduta? Si potrebbe smontarla pezzo per pezzo e rimontarla in un posto migliore dove è più apprezzata anche dal punto di vista economico? Magari! Demolirla? Che peccato! Mandarla in malora perché i costi per mantenerla sono onerosi? Pazzo! Insistere a venderla fino allo sfinimento? Ottimista! Sperare in un benefattore disinteressato? Illuso! Regalarla? Scemo! Non lo so, ognuno ha una propria soluzione. Io ancora non l’ho trovata per quell’immobile concepito da mio padre tantissimi anni fa e che mi porta periodicamente ad andare in un luogo per il quale non ho mai provato alcuna nostalgia… Heimweh. Che senso ha dare tanta importanza affettiva a qualcosa che non si può muovere, pur sapendo che, in fin dei conti, la nostra presenza su questo mondo è solo transitoria? Perché ci ostiniamo a pretendere che i nostri discendenti si facciano carico di progetti immobiliari che si possono trasformare in vere e proprie zavorre economiche ed emotive? Per me da anni Heimat, la mia casa, non è più un luogo fisico, ma uno stato mentale favorito dalle persone che mi fanno stare bene. E non ho mai sentito il bisogno di possedere una casa tutta mia, ma mi è sufficiente vivere in una bella capanna con il tetto spiovente, in affitto, che posso lasciare senza problemi in qualsiasi momento quando sarà il momento. È tutto molto più semplice così. Abili venditori di sogni che considerano le abitazioni semplici oggetti senza storia o identità e con prezzi fissati dal cosiddetto libero mercato dove le speculazioni dei furbetti sono inevitabili. La Rivista · Aprile - Giugno 2025 47
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