La Rivista

laboriosità riservata. Il suo paesaggio urbano è punteggiato da ville signorili, parchi secolari e piccoli laghi che sembrano usciti da un dipinto romantico. Ma sotto questa immagine da cartolina, la città nasconde capitoli meno noti, spesso sorprendenti. Forse Varese si può cominciare a decifrarla pensando al suo rapporto con il tempo. Con quello meteorologico, quell’umidità che risale dalle acque dei laghi e diventa afa a causa della scarsa ventilazione tipica del clima padano. Ma soprattutto con il tempo storico, sedimentato nei quartieri, nei palazzi di antico lignaggio, nei silenzi delle corti. Passeggiando per il centro, lungo corso Matteotti, si ha la sensazione che il tempo continui a scorrere lento, anche se i portici non custodiscono più le antiche botteghe ma i negozi dei brand globali, e le librerie indipendenti hanno ceduto il passo ai punti vendita delle grandi catene. Le facciate degli edifici evocano con discrezione un passato borghese e operoso. Nelle ore più tranquille, Piazza del Podestà, con il suo assetto raccolto e la statua del Garibaldino, inevitabilmente retorica ma priva di quegli eccessi tromboneschi che rendono spesso fastidiosi i monumenti ottocenteschi, fa pensare ad epoche passate: quando nel medioevo l'antico Broletto (oggi Palazzo Biumi), cuore commerciale e popolare del borgo, ospitava mercati e assemblee, o quando, dalla fine del ‘500, la piccola campana che tuttora sormonta l’adiacente Palazzo Pretorio convocava i cittadini o segnalava il coprifuoco. Un intreccio di memorie, tra aneddoti e pietre antiche, che fa del baricentro cittadino una soglia temporale, dove passato e presente si affacciano l’uno sull’altro senza grandi contrasti. il Sacro Monte: risposta “visuale” alla Riforma protestante Già in quegli anni, fra l’altro – verso la fine del Cinquecento – il Varesotto si afferma come luogo di villeggiatura per le famiglie nobili milanesi, attratte dal clima prealpino e dal paesaggio collinare. Pochi anni dopo, ai primi del Seicento, nascerà il Sacro Monte con le sue cappelle barocche, voluto dai Borromeo come risposta “visuale” alla Riforma protestante. Dal 2003 patrimonio dell’UNESCO, più che un semplice luogo di culto il Sacro Monte è un dispositivo narrativo, che accompagna chi sale lungo il viale delle cappelle in un percorso di meditazione che è insieme artistico, spirituale e paesaggistico. I varesini lo conoscono bene, e non solo per motivi religiosi. C'è chi lo percorre durante la corsetta mattutina, chi lo fotografa con occhio da naturalista, e chi si rifugia tra le sue curve per ritrovare un po' di silenzio, anche in pieno agosto. Salendo a piedi il viale, si percepisce come qui l’arte sia stata pensata proprio per accompagnare un cammino di elevazione. Le cappelle, progettate da Giuseppe Bernascone a partire dalla fine del Cinquecento e raffiguranti i Misteri del Rosario, non sono semplici edifici votivi bensì autentici teatri in pietra, dove i gruppi scultorei in terracotta e gli affreschi, realizzati da artisti come Morazzone, Prestinari e i fratelli Recchi, costruiscono un toccante racconto tridimensionale. La prospettiva, la luce naturale, persino la posizione topografica di ciascuna scena rispondono a una logica narrativa raffinata. Giunti in cima, il santuario si presenta sobrio, quasi in contrasto con la teatralità del percorso, mentre nella cripta romanica e nelle decorazioni barocche si leggono le tracce della sua lunga storia. Il Museo Baroffio, lì accanto, conserva tavole gotiche, arte fiamminga, ma anche presenze novecentesche: un piccolo museo che attirerebbe probabilmente ben più visitatori se le sue sale ospitassero Nelle ore più tranquille, Piazza del Podestà fa pensare ad epoche passate La Rivista · Aprile - Giugno 2025 37

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