La Rivista

l’Europa, il cui export verso gli Stati Uniti è sceso del 35% in aprile rispetto a marzo, ma resta sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente. La più colpita è la Germania, che ha esportato il 16% in meno rispetto a marzo (e un -8,6% rispetto ad aprile 2024), mentre l’Italia ha per ora contenuto le perdite, con una caduta dell’export del 10% in aprile rispetto a marzo, e -4,4% rispetto ad aprile 2024. Il 4 giugno sono poi raddoppiati i dazi su alluminio e acciaio, un aumento che non interessa il Regno Unito grazie all’accordo commerciale raggiunto lo scorso 10 maggio e che riduce anche al 10% la tariffe imposte sulle automobili, applicata ad una quota di 100 mila veicoli – le esportazioni di auto inglesi negli Stati Uniti raggiungono però mediamente le 120 mila unità. In cambio il Regno Unito si impegna a ridurre i suoi dazi per le merci americane, e da ciò ci si aspetta un forte impatto sul settore agricolo. “Aumenteranno in modo significativo le esportazioni di carne bovina americana, etanolo e praticamente tutti i prodotti dei nostri grandi agricoltori”- ha spiegato il Presidente americano nella conferenza organizzata nello studio ovale per celebrare il primo della serie di accordi commerciali che potrebbero ridisegnare il commercio mondiale. Tuttavia, la promessa di Trump di concludere “90 accordi in 90 giorni” difficilmente sarà mantenuta. Il balletto dei dazi A metà giugno è stata invece annunciata l’intesa con la Cina, che non azzera i dazi ma li riporta a quanto stabilito in via preliminare a maggio – una tariffa del 10% di dazi “universali”, cui si aggiunge un 20% specifico su Pechino motivato dal Presidente americano con il poco incisivo contrasto alla diffusione del fentanyl (tariffa che, per lo stesso motivo, interessa anche Canada e Messico) e il 25% già introdotto da Trump nel corso del suo primo mandato. La Cina riprenderà le esportazioni di magneti e terre rare verso gli Stati Uniti mentre Washington si è impegnata a non sospendere i visti per gli studenti provenienti dalla Repubblica popolare. Appare chiaro dunque che l’intesa si limita a fermare l’escalation tariffaria innescata nelle scorse settimane e che rischiava di danneggiare pesantemente entrambe le economie. Non costituisce dunque una buona premessa per i negoziati con l’Europa, il cui obiettivo sarebbe l’azzeramento dei dazi, mentre l’amministrazione americana punterebbe a mantenere quelli attuali, senza peggioramenti, e con accordi specifici per singoli settori, con l’intento di far aumentare gli acquisti di armi e di gas statunitensi. Il commissario europeo al commercio, Maros Sefcovic, impegnato in queste settimane nelle trattative con il segretario al commercio Usa Howard Lutnick e il rappresentante al commercio Jamieson Greer, si è dichiarato “ottimista” per i progressi fatti sinora e ha definito le discussioni “molto concrete”, ma dall’altra parte lo stesso Lutnick ha detto che l’intesa con Ue sarà probabilmente l’ultima ad essere siglata, definendo Bruxelles “più che spinosa nei colloqui commerciali”. Superare i particolarismi nazionali Il rischio resta quello che gli Stati membri si possano sfilare dalla trattativa comune, negoziando ciascuno le proprie condizioni, cosa che aggraverebbe ulteriormente la frammentazione del commercio globale da cui la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde ha messo in guardia subito dopo aver appreso dell’accordo tra Stati Uniti e Cina. Per Lagarde infatti, “se il commercio globale dovesse frammentarsi in blocchi concorrenti, si contrarrebbe in modo significativo e tutte le principali economie peggiorerebbero”. “Se vogliamo seriamente preservare la nostra prosperità, dobbiamo perseguire soLa presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde mette in guarda sul rischio di frammentazione del commercio globale La Rivista · Aprile - Giugno 2025 11

RkJQdWJsaXNoZXIy MjQ1NjI=