La Rivista

questo ambito misure di politica linguistica, finalizzate ad esempio a garantire l’uso delle lingue ufficiali, sono poco presenti o del tutto assenti. In ambito economico la priorità del legislatore è di favorire (non ostacolare) il commercio rispetto alla promozione o alla tutela delle lingue (eccezione fatta per le indicazioni sui prodotti relative alla sicurezza e alla salute della popolazione). L’indagine delinea un quadro della situazione attuale dell’italiano, lingua nazionale e minoritaria. La valutazione della vitalità dell’italiano come lingua di lavoro e lingua di comunicazione nel mondo del lavoro e dell’economia in Svizzera va attuata in modo differenziato rispetto, ad esempio, al territorio: l’italiano è altamente vitale nella Svizzera italiana e poco vitale nelle altre regioni linguistiche del paese. Rilevante è anche l’estensione dell’attività di un’azienda (da locale a nazionale, a globale) o il fabbisogno di competenze linguistiche in relazione al tipo di mercato di riferimento. Quello lavorativo ed economico è un contesto in cui più di altri (la famiglia o le reti sociali), la vitalità e il ruolo funzionale dell’italiano possono essere più problematici e subire in parte la forza sociale ed economica di altre lingue. Il volume è disponibile in formato cartaceo (ordinazioni: decs-olsi@ti.ch) o in formato pdf (libero accesso nella Biblioteca digitale del Cantone Ticino). Se nel passato il loro eloquio era aulico e forbito, capace di suscitare la deferenza del grande pubblico, oggi le carte sono state del tutto ribaltate, tra parolacce, imprecazioni, volgarità. Parliamo dei nostri politici, non di tutti, naturalmente, ma di una larga fetta. Nel suo primo saggio dal titolo Onorevole Parolaccia (FrancoAngeli editore), uscito lo scorso mese di settembre, la giornalista 27enne Benedetta Cicognani indaga l’evoluzione e la ragioni del perentorio cambio di stile nel linguaggio pubblico. Un processo lento, ma inesorabile, che ha relegato in soffitta le “acculturate” e “antiche” tribune politiche condotte dall’impeccabile Jader Jacobelli, per lasciare spazio ai nuovi dibattiti televisivi dove emerge e si mette in lustro chi alza la voce, urla e si dimena. Il piccolo schermo, si dirà, non fa altro che riadattare ai tempi del talk show modalità e comportanti che, già ampiamente diffusi in molti ambiti della società civile, incontrano il favore delle persone. E allora la domanda nasce spontanea: è il pubblico che ha imposto ai propri rappresentanti di lasciar perdere la moderazione in favore di un linguaggio più volgare o viceversa? La cronaca lo conferma tutti i giorni: a semplice titolo di esempio, anche il botta e risposta culminato nel “sono quella stronza della Meloni” tra la premier e il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Basti pensare anche a quello che sta succedendo in questi giorni Oltreoceano, con Donald Trump che ha condotto una campagna di insulti a raffica. Harris si è così guadagnata il suo personale epiteto: “Io la chiamo ‘laughing Kamala’”. E proprio anche al tycoon è dedicato un paragrafo del libro di Cicognani, la quale tra gag e aneddoti si sofferma sui motivi che hanno portato il turpiloquio a diventare prassi comune nella dialettica politica. A far sì che i protagonisti delle istituzioni abbiano cominciato a sproloquiare come avventori di bar frastornati da qualche bicchierino di troppo, a sproloquiare di conquiste sessuali come l’ultimo dei vitelloni, a usare l’insulto a mo’ di clava contro gli avversari anziché ricorrere a perifrasi più sofisticate. Il testo traccia pertanto un filo conduttore che parte dal vituperio che caratterizza l’interagire del ventennio fascista fino ai giorni d’oggi. “Il linguaggio forte, aggressivo, è l’alleato indispensabile per dimostrare di saper tenere la ‘barra Dritta’ e di avere il controllo sugli eventi – scrive Cicognani -. Una fermezza linguistica che si vuole far combaciare con una solidità governativa ma che, di fatto, svela la mancanza di un’idea di Paese. […] Quando non c’è contenuto, subentra la tattica di addossare i problemi al capro espiatorio di turno o, in alternativa, di adombrare le difficoltà con l’effige del ‘celodurismo’, un approccio fintamente decisionista che ha il doppio obiettivo di screditare l’avversario e compiacersi della propria presunta autorevolezza”. Onorevole Parolaccia il saggio di Benedetta Cicognani spiega perché il turpiloquio ha conquistato il linguaggio politico La Rivista · Ottobre-Dicembre 2024 57

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