La Rivista

una semplice vocale per distinguere una forma singolare e una plurale. Pensate a Vogel “uccello” vs. Vögel “uccelli”! Attraverso l’alternanza tra /o/ e /ö/ si prendono letteralmente due piccioni con una fava. Detto questo, vorrei anche tranquillizzare chi è terrorizzato nel commettere errori di pronuncia. È così grave dire Bucher invece di Bücher “libri” (da Buch “libro”)? No, perché il termine Bucher esiste veramente e indica un cognome molto diffuso in Germania, Svizzera e Austria che deriva a sua volta da un nome di luogo Buch(e) “faggio”. E la cosa più interessante, in tutto questo, è che Buch “libro” e Buche “faggio” hanno la stessa origine etimologica, perché anticamente per le pratiche divinatorie degli antichi germani si usavano bastoncini di faggio cioè i Buchstaben, diventati poi “lettere” (cfr. Kluge, Etymologisches Wörterbuch der deutschen Sprache. Bearbeitet von Elmar Seebold, 23. erweiterte Auflage, Berlin, de Gruyter Verlag, 1995, pag. 141, Pfeifer, Etymologisches Wörterbuch des Deutschen, München, 1993, pag. 178-179). Ad alleggerire la nostra responsabilità di stranieri sul corretto apprendimento della metafonia, infine, c’è tutta la questione collegata con l’apparente anarchia presente nelle varietà dialettali tedesche. Dal punto di vista storico, infatti, il fenomeno inizia ad apparire con una certa regolarità solo dal XIII secolo, ma non in modo omogeneo. Da qui, per esempio, nasce il binomio Wörter “parole in generale” e Worte “parole in un discorso” per Wort “parola” (Pfeifer, Etymologisches Wörterbuch des Deutschen, München, 1993, pag. 1580) e, in certi dialetti alemanni, si dice Manne invece di Männer. Per vedere l’effetto che fa Alla luce di tutto ciò, ho imparato ad affrontare con leggerezza i discorsi collegati con l’uso corretto della metafonia, semplicemente perché anche i tedescofoni fanno un po’ quello che vogliono. E mi metto a ridere quando mi accorgo di aver detto erroneamente Füss al posto di Fuss “piede”, alla fine di due ore di lezione fatte esclusivamente in Hochdeutsch e un gran mal di gola. Il giornalista sportivo di origine vallesana della SFR1 Reiner Maria Salzgeber, infatti, dice sempre Füssball e non Fussball quando parla il suo “Hochschweizerdeutsch”. Se lo dice lui, lo posso dire anch’io nel mio tedesco speciale e non mi interessa il fatto che lui possa permetterselo solo perché è di lingua tedesca, mentre io non lo sono. Fin quando mi capiscono mentre spiego le cose, va tutto bene, e posso anche autocorreggermi in qualsiasi momento. Al limite mi giustifico, dicendo che sto parlando tedesco antico, tanto nessuno lo conosce. Con questo articolo ho voluto semplicemente ritornare su un discorso che mi sta particolarmente a cuore: l’importanza della linguistica storica per comprendere meglio le lingue moderne e i motivi che possono portare a certe devianze dalla norma standard, comunemente chiamati “errori”. Per fare questo ho semplicemente ritrovato il mio vecchio amore scientifico, la Filologia germanica, dopo aver fatto un po’ di ordine nella mia libreria “scientifica” piena di vocabolari che non utilizzo da tantissimo tempo. È sempre bello, per me, rifarmi a studiosi del passato che hanno formulato le proprie teorie in tempi nei quali si doveva usare ancora la propria testa. Prima di cedere definitivamente il passo all’efficienza dell’intelligenza artificiale, ho provato a fare un ultimo esperimento con l’ormai inutile nozionismo, ma divertente come certe notiziole contenute nella Settimana Enigmistica, che da anni è assopito tra le sinapsi del mio cervello e ogni tanto viene fuori senza motivo. Giusto per vedere l’effetto che fa. Tutto qui. Talvolta serve fare un po’ di ordine in una libreria piena di vocabolari che non si utilizzano da tantissimo tempo La Rivista La Lingua batte dove... La Rivista · Ottobre-Dicembre 2024 52

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