La Rivista Elefante invisibile* WOKE: chi è mai costui? di Vittoria Cesari Lusso Tempo addietro, quando ho cominciato ad accorgermi che nel mondo che mi circonda c’era un termine nuovo (almeno per me) che emergeva dai dibattiti e commenti sociopolitici, il suono di tale termine che giungeva alle mie orecchie era W-O-K. In un primo momento, distratta da mille altre faccende della vita quotidiana, non vi ho molto badato. Quando lo sentivo mi veniva da pensare alla padella molto usata nella cucina cinese, e che a casa mia giace inutilizzata nel fondo di un cassettone. Man mano però che il termine dilagava in questi ultimi anni nei media attraverso articoli e interventi riguardanti i cosiddetti (almeno una volta) conflitti sociali, capivo: primo, che ovviamente la parola si riferiva a ben altre insidiose e perigliose realtà; secondo, che si scriveva con una «E finale» (WOKE) poiché si trattava di un verbo inglese; terzo che aveva ormai generato una poderosa corrente ideologica, il «wokismo», con i suoi seguaci e militanti più o meno pacifici o violenti, e con schiere di predicatori e istigatori più o meno visibili (un vero e proprio elefante che restava invisibile ai miei occhi). Quale definizione? Quali derive? Alla ricerca di una definizione ho consultato dapprima l’autorevole vocabolario Treccani che di recente ha inserito Woke tra i neologismi. In questa fonte si legge che il concetto fa parte dell’immensa mole di «prodotti culturali prêt-à-porter» che l’Europa importa dagli Stati Uniti e adotta automaticamente. Esso deriva dall’inglese woke, usato inizialmente dagli attivisti politici statunitensi del Black Lives Matter. * Una vecchia leggenda indiana narra di un elefante che pur muovendosi tra la folla con la sua imponente mole passava comunque inosservato. Come se fosse invisibile ... Il termine woke è stato usato inizialmente dagli attivisti politici statunitensi del Black Lives Matter La Rivista · Ottobre-Dicembre 2024 46
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