trovare un’intesa per consolidare qualcosa di durevole. C’è dunque un aspetto anche politico che gioca a vantaggio dell’Italia. Se osserviamo quanto è successo nel decennio passato, vediamo la situazione di crisi della Germania, che di fatto ha promosso l’auto elettrica senza avere la tecnologia necessaria. Oggi è evidente a tutti che le auto elettriche europee sono più arretrate dal profilo tecnologico rispetto a una Tesla o alle auto cinesi. Costano di più e la funzionalità resta diversa. Se si desidera dunque un’auto elettrica è difficile acquistarne una europea che impiega più tempo per la ricarica, dura meno o costa di più. È realtà che incombe sulle nostre economie, compreso il connesso parco dell’indotto. Si tratta certo di crisi che a turno toccano un paese piuttosto che l’altro, con problemi di crescita, debito e deficit, ma c’è sempre qualcosa che non va, se mancano progetti di ampio respiro. La tecnologia ne è un esempio lampante. L’Italia investe assai poco e così non ci sono grandi ritorni. Eppure, sui vaccini e le cure per il Covid, pagate dal governo americano e là assemblate, in Europa si è festeggiato quando siamo riusciti a comperarli, sebbene costruiti – non dimentichiamolo – grazie alla tecnologia europea. Non è che non ci fossero le capacità: mancava solo il denaro sul tavolo e rischiare. Una visione romantica Stessa cosa per internet. Abbiamo ancora una visione molto romantica delle società nate nei garages senza soldi, ma a questo crediamo solo noi. Internet nasce coi fondi della difesa americana (tutti investimenti pubblici) che realizzano l’infrastruttura (1.300.000 km di cavi sottomarini che ogni 5 anni vanno registrati e regolati). Chi spende, poi avrà anche benefici. Se non si investe, è difficile tenere il passo. Nel piano proposto da Draghi, mobilitando il 6% del Pil si otterrebbe anche una riduzione del debito dei singoli Paesi. Il problema, insomma, non è il debito, ma la cessione di potere e una mentalità differente. Cessione di potere perché l’UE presta a buon prezzo, ma gli utilizzatori devono effettuare operazioni ad hoc, eliminando oneri improduttivi. Così è successo per Italia e Spagna e ha funzionato. Al di là delle critiche, si vede come funzioni togliere potere ai Governi locali che su alcune vicende restano in ostaggio. L’altro aspetto non secondario è la mentalità. Capire, cioè, che l’Europa è un’area economica e i nostri competitor sono la Cina o gli Stati Uniti; non l’Italia per la Germania e viceversa. La parte finanziaria è in fondo semplice. Per esempio, conclude Matteo Ramenghi, in Europa con il riscaldamento del clima, le pompe di calore, l’uso diffuso dell’intelligenza artificiale e i data center, andiamo incontro ad un enorme consumo di elettricità con una forte crescita della domanda. Ebbene, sul nucleare di nuova generazione costruito a livello modulare non c’è più bisogno di grossi impianti che si costruiscono in 10 anni. L’unica nazione, che ha investito massicciamente in Europa, è la Francia, che ha più di un’ottantina di centrali tra le oltre 100 attive nel vecchio continente e alcuni Paesi comperano elettricità da lei di notte che proviene da questa fonte. Ma oggi ci sono Paesi e settori che si costruiscono mini reattori per i loro centri di calcolo in modo sicuro e l’Italia, guarda caso, ha un indotto diffuso e specializzato di PMI attive sulle nuove tecnologie che si approntano in due anni. A parte che, non avendo imboccato la strada della vecchia tecnologia, sarebbe anche più facile tornare indietro e sfruttare le nuove opportunità. Aspettando Trump Non diversa l’analisi di Maria Paola Toschi, Global Strategist di J.P. Morgan AM. La priorità del nuovo presidente Donald Trump è il confronto che si prospetta a Washington con la Cina invocando problemi di sicurezza nazionale e ordini esecutivi e imponendo le tariffe per ovviare al deficit commerciale americano. Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS Wealth Management Italy La Rivista · Ottobre-Dicembre 2024 8
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