pana” è strettissimo, come per altro la letteratura del passato testimonia. Tutto comincia con l’arrivo del bufalo nel centro-sud d’Italia che risale quantomeno al 1300. Tra il X e XI secolo si sviluppò nelle aree tra Mondragone ed il Volturno il fenomeno dell’impaludamento e il bufalo trovò un habitat idoneo ed il latte bufalino sostituì quello vaccino nella preparazione di quel laudatissimum caseum del Campo Cedicio, formaggio già citato da Plinio il Vecchio. Nel XIII secolo la diffusione del bufalo è documentata in Capitanata, nel Salernitano, Sicilia e plaghe pontine oltre che in altre zone d’Italia. Una delle prime citazioni della Ricotta, associata alla Mozzarella e ad altri latticini è fatta in un libro di cucina pubblicato nel 1570 da Bartolomeo Scappi cuoco della Corte papale ove pervenivano specialità da ogni parte d’Italia e d’Europa che cita “…capo di latte, butirro fresco, ricotte fiorite, mozzarelle fresche et neve di latte…”. I documenti di Archivio risalenti al XVII secolo confermando quanto riferito da Scappi ed evidenziano che a fianco dei tipici prodotti del caseificio bufalino sul mercato capuano affluiscono provole e mozzarelle affumicate nonché ricotte di vacca e di bufala salate. Notizie più dettagliate e dirette sulla Ricotta di Bufala si ritrovano a partire dal 1859, quando Achille Bruni, Professore della Regia Università di Napoli, nella sua monografia Del latte e dei suoi derivati pubblicata nella Nuova Enciclopedia Agraria, descriveva in sintesi come si produceva allora la Ricotta di Bufala: “Munto il latte e versato in tinozza, vi si mette il caglio di capretto e dopo di essersi rappreso con la spatola di legno si taglia a pezzi grossi. Indi con una cazzuliera di legno si leva il siero che si fa bollire per trarne la ricotta”. La storia del caciocavallo Impiccato Il cacio sciolto sul fuoco ed accompagnato al pane era il pasto più in voga tra i pastori nel periodo della transumanza, quando ci si spostava attraverso i pascoli seguendo il tragitto segnato dai tratturi. Dopo una giornata di cammino ed in attesa di proseguire il viaggio, il momento del ristoro serale si svolgeva intorno al fuoco acceso per riscaldarsi. Tra un racconto e l’altro, il tempo trascorreva mangiando pietanze semplici: tra queste, pezze di formaggio che venivano fatte “sudare” sulla fiamma ed adagiate su fette di pane. A raccontarlo è lo chef Antonio Pisaniello che ha vissuto in prima persona la prima vera esperienza del caciocavallo impiccato nel corso di un evento di piazza. “Il primo caciocavallo impiccato per così dire pubblico” – ricorda chef Pisaniello – è stato realizzato nel corso della ‘Sagra della castagna di Montella’ nel 2000. L’ideatore fu Simone Pizza, un giovane che insieme alla sua comitiva di amici pensò di proporlo nel corso della festa. L’idea nacque durante una serata alla birreria Johnnie Walker di Montella. Ricordo che si discuteva di formaggi, di come gustarli al meglio. E saltò fuori questo antico metodo di cottura, utilizzato dai pastori sia nostrani che francesi. Ci dicemmo: perché non lo proponiamo alla prossima sagra? Detto, fatto. E da una semplice chiacchierata tra amici che è nata, dunque, quella che è diventata in pochi anni una delle più ricercate delizie per il palato. Ormai, si può dire che il caciocavallo impiccato è uno dei simboli della convivialità irpina a tavola, un pò come il barbecue lo è per gli americani. È uno di quei piatti che non si gusta in solitudine ma rigorosamente in compagnia”. Per chi ama le varianti, si consiglia di abbinare il caciocavallo con il tartufo di Bagnoli Irpino, creando così una bruschetta speciale con un sapore unico. Accompagnato naturalmente da un bicchiere di ottimo Aglianico del Taburno. I formaggi DOP e una selezione di quelli P.A.T Presentare tutti i formaggi della Campania sarebbe un elenco senza fine. La Rivista L’Italia a tavola Simone Pizza e il suo caciocavallo impiccato La Rivista · Settembre 2024 86
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