La Rivista

Giangi Cretti Direttore gcretti@ccis.ch La Rivista Editoriale della produzione (per certi versi, non necessariamente un danno). Si pensi, riferendoci all’anno in corso, agli effetti delle abbondanti piogge primaverili al nord, ma soprattutto della siccità al Sud, in Sicilia in particolare. D’altro canto, il fenomeno del riscaldamento climatico ha ormai un effetto dirompente sui vigneti. In 40 anni la vendemmia è stata anticipata di 2-3 settimane. Se il riscaldamento climatico arrivasse a 2 gradi (ora siamo a 1,4), il 90% delle regioni vinicole tradizionali situate nelle pianure e nelle regioni costiere di Italia, Spagna e Grecia rischierebbe di scomparire entro la fine del secolo, a tutto vantaggio delle latitudini settentrionali, con la Gran Bretagna già entrata tra le nazioni produttrici di discreto livello e, ormai senza sorpresa (?), della Svezia, che negli ultimi cinque anni ha raddoppiato il numero di ettari coltivabili a vite, puntando a sviluppare una vera e propria industria vitivinicola locale. Il rapporto 2023 dell’Oiv, Organizzazione internazionale della vite e del vino, ci offre un anticipo di questo scenario: se nel mondo la produzione è calata mediamente del 10%, in Paesi caldi come l’Italia e la Spagna si è scesi del 23% e del 21%, arrivando rispettivamente a 38 e 28 milioni di ettolitri (dati del 2023*). A ciò si aggiungono cambiamenti culturali. Nuovi stili di vita, attenzione alla salute e ad un consumo responsabile, in modo particolare fra le giovani generazioni, determinano un calo del consumo del vino a vantaggio di alternative a basso o nullo contenuto di alcol, che guadagnano popolarità e rappresentano una forte concorrenza. (resistono i boomers, che, loro malgrado, fisiologicamente, buona parte del futuro l’hanno dietro alle spalle). Colpa (merito?) anche della campagna dissuasiva alimentata dall’Oms, Organizzazione mondiale della sanità, e cavalcata anche da alcuni paesi Ue, come l’Irlanda, che è giunta ad ipotizzare la necessità di accompagnare le etichette del vino con messaggi e immagini tipo quelli che appaiono sui pacchetti di sigarette: “nuoce gravemente alla salute”. Una sorta di memento mori. Un bollino nero - suggerito su proposta di Serge Hercberg, nutrizionista ed epidemiologo francese a cui si deve l’invenzione del Nutriscore, di cui abbiamo parlato sul numero scorso della Rivista – da apporre sulla bottiglia di vino, che, in nome di un salutismo armato, potrebbe cancellare una parte della gioia di vivere e del Pil italiano**. È vero. C’è stata una stagione nella quale gli appassionati, ma anche gli esperti, sbandieravano presunte proprietà antiossidanti del resveratrolo, sostanza contenuta nel vino, e prodigi per la salute psicofisica, sia pure limitati a un bicchiere di vino al giorno. Sembra che le cose non stiano così. Anche se, come sovente accade, tutti noi, che confidiamo nella competenza e nella scienza, un poco disorientati lo siamo di fronte a quegli studiosi che, sulla base delle stesse osservazioni, traggono conclusioni opposte. Comunque, senza indugiare sul paradosso, magari sostenendo che anche guidare la macchina, salire su un aereo, accendere il gas, mangiare pesce, portare un cercapersone, amare qualcuno, prendersela troppo può comportare dei rischi; oppure, che poltrire sul divano favorisce il diabete, che camminando si può inciampare; o addirittura che anche respirare può essere dannoso (non farlo di solito può essere letale), forse, ammettendo che eccedere è sempre pericoloso, si potrebbero individuare modalità meno apocalittiche per segnalare gli eventuali i rischi derivati da un bicchiere di vino (anche se accompagnato da culatello e gnocco fritto o da un velo di lardo di colonnata?). D’altronde, si fa notare: una delle (sane?) abitudini alla quale tendenzialmente non vorremo mai trovarci nelle condizioni di dover rinunciare, pur consapevoli che ha un sicuro tasso di mortalità, è vivere. Alla salute (?). *Per il 2024 le previsioni Istat (che differiscono per eccesso, difficile capire perché, da quelli del MAAF, Ministero delle politiche agricole alimentari e foreste) si prevede una produzione di 41 milioni di ettolitri, ampiamente sotto non solo annate come il 2018 (54 milioni) ma anche sotto la media decennale, che si colloca attorno ai 47 milioni di ettolitri. ** Il vino rappresenta per l’Italia (tra impatto diretto, indiretto e indotto) una produzione annua di 45,2 miliardi di euro, un valore aggiunto di 17,4 miliardi di euro e oltre 300'000 posti di lavoro. Ci stavamo convincendo: il futuro potrebbe essere rosé. La prospettiva si stava delineando avvolgente. Infatti, nello specifico, la sfida, confortata dai numeri, parrebbe vinta: il vino rosato (rosé), va da sé, grazie ad una massiccia ed efficace operazione di marketing ma anche a prodotti di apprezzabile qualità, si sta insinuando, gustosamente con successo, nelle nostre abitudini alimentari. Eppure, il futuro del vino (non solo quello, ahinoi) potrebbe non essere roseo. La preoccupazione è diffusa. Cause ed effetti si inseguono e si confondono, spesso concatenati: cambiamenti climatici, calo delle vendite, quindi dei consumi, ma anche della produzione, crescita delle giacenze, instabilità geopolitica, disaffezione dei giovani, mutamento di stili di vita, particolare attenzione alla salute, diminuzione del potere d’acquisto… È una costatazione, tanto vale prenderne atto: i consumi di vino sono in costante diminuzione. In Italia, nel 2010, era di 55,8 litri pro capite, quello complessivo: di 21 milioni di ettolitri. I dati previsti per il 2024 ci parlano di un consumo pro capite di 26,3 litri e di uno complessivo di 10,3 milioni di ettolitri. Numeri implacabili, di fronte ai quali è difficile sostenere – come si fa talvolta consolatoriamente parlando del clima – che nella storia del vino ci sono sempre stati alti e bassi e quindi (nel caso specifico, non per la questione climatica) i produttori dovrebbero avere una visione a lungo termine ed essere pazienti, passando dal puntare sulla quantità a credere nella qualità. Cambiamento di rotta, per altro, che in Italia è stato fatto. Quanto meno, a partire dallo scandalo del metanolo. Ho già sommariamente elencato le ragioni principali. L'instabilità economica che riduce il potere d'acquisto. Che, a sua volta, induce a cercare alternative più accessibili. Il maltempo, che influisce sulle vendemmie, provocando un crollo

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