vaso, fu il discorso pronunciato a Montecitorio da Matteotti, venerdì, 30 maggio 1924, alle ore 15,30, nel quale denunciò, senza mezzi termini, i brogli elettorali del precedente 6 aprile, quando i fascisti ottennero la maggioranza assoluta, usando la violenza anche armata contro gli avversari. Il resoconto stenografico di quella seduta testimonia i continui «tumulti in un’aula in cui le milizie del fascio avevano gia esautorato i commessi: l’arringa del deputato socialista viene sopraffatta piu volte da grida, minacce e risse», che davano già la percezione della violenza che stava per scatenarsi contro l’oratore. Terminato l’intervento, Matteotti, conscio del pericolo che correva, rivolgendosi al socialista Giovanni Cosattini (1878-1954), seduto accanto a lui, e ad altri compagni di partito, disse: «Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me». In serata, quando le minacce nei suoi confronti si erano fatte più palesi, rivolto ad alcuni suoi avversari politici, disse ancora: «Uccidete pure me. L'idea che e in me non l'ucciderete mai!». Persino alcuni stessi parlamentari socialisti, preoccupati dalle ritorsioni fasciste, cercarono di prendere le distanze dal loro compagno. Il 30 maggio 1924, ore 20: «Il parlamentare fascista Cesare Rossi (1887-1967) definisce Matteotti “la peggiore canaglia” con cui non si puo che “lasciare la parola alla rivoltella”». Era il segnale, o meglio, la parola d’ordine, per fare entrare in azione gli squadristi incaricati di far tacere per sempre Matteotti. Il capo della masnada era Amerigo Dumini (18941967), nato a Saint Louis (USA) dal fiorentino Adolfo Dumini e dalla britannica Jessie Wilson, che, rientrato in Italia nel 1913, divenne uno sfegatato fascista della prima ora, partecipando a diverse incursioni squadriste contro gli avversari. Per i suoi “meriti politici” aveva ottenuto un impiego al servizio dell'Ufficio Stampa del presidente del Consiglio, cioè di Mussolini, con lauto e regolare stipendio. Viaggiava in prima classe, attorniato da segretari particolari, fissi ed avventizi. Al momento dell’incarico di pedinare Matteotti tutti sapevano, soprattutto Mussolini, chi fosse realmente Dumini, anche perché amava presentarsi alle adunate fasciste dicendo: «Piacere! Dumini, nove omicidi!» (Emilio Lussu, in Marcia su Roma e dintorni, Parigi 1931). Il 31 maggio 1924, in vista dell’operazione sequestro di Matteotti, «con una nota riservatissima urgente del Viminale (Ministero degli Interni, tenuto ad interim da Benito Mussolini), fu dato ordine al direttore del carcere di Poggioreale (Napoli) di liberare immediatamente, quale "informatore segreto», il recluso «austriaco Otto Thierschadl, unanimemente considerato da inquirenti e storici un inveterato bugiardo, che viveva di espedienti». Entrato al servizio della “banda del Viminale”, Thierschadl «incaricato dal Dumini di spiare le abitudini e i movimenti di Matteotti, avrebbe a suo stesso dire tradito il mandato per mettere, a più riprese, sull’avviso proprio la vittima designata». La Convenzione Sinclair Dumini, forse intuendo il doppio gioco dell’austriaco, lo tenne ai margini dell’operazione, tanto che il giorno del sequestro di Matteotti non era stato invitato a far parte della feccia fascista, che lo avrebbe poi trucidato. Il 5 giugno 1924, intanto, per sviare le future indagini, il capo di gabinetto del questore di Roma, Gaetano Laino, consegnò al segretario di Giacomo Matteotti, Paolo De Michelis, il passaporto per l'Austria, chiesto da tempo e fino ad allora negato per divieto di espatrio. Giacomo Matteotti si mostrava sempre più agguerrito La famiglia Matteotti: i figli Giancarlo, Isabella e Matteo, la moglie Velia Titta e Giacomo La Rivista Cultura La Rivista · Marzo 2024 47
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