Il paese più europeo del continente André Holenstein, già professore ordinario di storia all’Università di Berna, inquadra storicamente la questione aprendo il primo intervento del volume con una affermazione significativa: “La Svizzera è il paese più europeo del continente”. Da un lato, infatti, la Confederazione deve la sua indipendenza alle vicende europee, dall’altro “si ribella all’idea di appartenere all’Europa”. Un paradosso che secondo Holenstein si deve ad un approccio storiografico lacunoso, che tradizionalmente attribuisce il successo della Confederazione unicamente a meriti intrinseci, quando invece “l’esistenza della Svizzera si fonda su una specifica posizione in Europa; è il prodotto di forze e costellazioni di potere europee”. Ciononostante, nel caratterizzare il rapporto della Svizzera con l’Europa rivestono un’importanza decisiva “i diffusi discorsi isolazionistici che da secoli accompagnano il paese nella sua ricerca identitaria”. Discorsi che affondano le radici nel mito più che nella storia: quel mito di fondazione, dal giuramento del Grütli a Guglielmo Tell, che poggia su “quella che si potrebbe definire la sindrome di Davide contro Golia: il piccolo contro il grande, come pure il proprio contro l’estraneo”. Dove nel corso del tempo il ruolo del “perfido Golia straniero” lo hanno rivestito una molteplicità di soggetti, dai “malvagi balivi” ai “tecnocrati di Bruxelles”. Holenstein parla di “convinzione di essere eletti dal destino, dalla storia o da Dio” e di “falsa idea di poter contare soltanto su se stessi”, confermate dall’“essere stati risparmiati da due guerre mondiali”. In realtà, conclude Holenstein, “La storia svizzera è caratterizzata da una dialettica di relazione e isolamento”, e “i rapporti con il continente oscillano da secoli tra questi due poli”. Detto in altri termini, afferma a sua volta Marco Solari, la dialettica che si intravvede è quella fra pragmatismo e ideali: due facce della stessa medaglia, non prive di reciproche contraddizioni ma fortemente complementari. Senza i suoi ideali – è l’opinione dell’ex presidente del Locarno Film Festival e ancor prima dell’Ente ticinese per il turismo – “la Svizzera non sarebbe stata quel crogiolo di libertà e anticonformismo che storicamente ha rappresentato”; senza pragmatismo, “il mito non si sarebbe realizzato e sarebbe rimasto in una dimensione onirica”. La “cifra prima della Svizzera”, secondo Solari, è l’equilibrio: “un equilibrio instabile, dinamico tra anelito e prassi”, anche nel senso della “miriade di compromessi interni necessari a tenere insieme un paese così vario, fatto di individui e territori gelosi della loro indipendenza”. L’equilibrio e la prigione Un equilibrio instabile, appunto. Denso di contraddizioni, e mai davvero risolto. Non a caso Solari cita Dürrenmatt, uno dei più grandi scrittori elvetici, che descriveva la Svizzera come una prigione in cui occupanti sono al contempo prigionieri e secondini: “il carcere non ha bisogno di mura, poiché i suoi carcerati sono guardie che sorvegliano se stessi”. Al di là di questo ulteriore paradosso, la dialettica sociale che impregna la vita nazionale svizzera ha risvolti ancora più complessi: come la contrapposizione, evidenziata dal giornalista Reza Rafi, fra “lo spirito conservatore delle valli montane” e la “buona dose di innovazione progressista” che è propria dei grandi centri urbani. Forse il nucleo più denso del Limes “svizzero” è l’intervento di Moreno Oltre che a Lugano e a Zurigo il volume è stato presentato anche nell’Ambasciata d’Italia a Berna. Nella foto l’ambasciatore Cornado fa gli onori di casa. La Rivista · Marzo 2024 22
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