La Rivista

La Rivista L’Italia a tavola Lo stivale regionale dei Formaggi d’Italia IL LAZIO Il Lazio è una regione che per conformazione fisica e geografica ospita un territorio che generosamente permette la produzione di eccellenze gastronomiche che vanno dall’olio di oliva della Sabina, ai salumi della Tuscia, dai legumi del viterbese sino all’ortofrutticola del latinense o Agro Pontino e sino ai formaggi dell’Agro Romano. di Rocco Lettieri Pastorizia e agricoltura sono da sempre i motori dell’economia regionale con una produzione di prodotti tipici di bontà riconosciuta anche fuori dai confini regionali e nazionali. Tutto merito di Aristeo ed Amaltea Cominciando proprio dai formaggi non possiamo che raccontare la storia senza partire dalla mitologia, la quale, fa risalire l’uso del formaggio ad Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene. Quest’ultima avrebbe insegnato agli uomini l’arte casearia, oltre a quella della pastorizia e dell’apicultura. Sempre la mitologia tira in ballo anche Amaltea, la nutrice di Giove, proprietaria di una celebratissima capra cretese. Per quanto riguarda la sua valenza energetica, invece, il formaggio era considerato un alimento particolarmente adatto agli atleti che gareggiavano alle Olimpiadi. Pertanto, i romani non potevano che essere produttori e consumatori di formaggio. Una sorta di prima classificazione arriva da Marco Terenzio Varrone che illustra i principali tipi di formaggi consumati nel II secolo a.C. (vaccini, caprini e ovini freschi e stagionati) e nel De rustica documenta come il gusto dell’epoca fosse rivolto ai formaggi ottenuti con il caglio di lepre o capretto, anziché di agnello. E gli Etruschi? Sì, ci misero del loro. Perfezionando l’uso di coagulanti di tipo vegetale, come il fiore di cardo e il latte di fico, e le loro tecniche di applicazione. Quelli di agnello o di capretto, però, incontravano di più. I Romani, che la sapevano lunga, arrivarono a utilizzare anche lo zafferano e l’aceto. Inoltre, per accelerare la stagionatura dei formaggi li misero sotto pressione con dei pesi forati (pressatura). Arte casearia vera e propria, dunque. Che diffusero nelle terre conquistate. Risale infatti al 58 d.C. il primo formaggio prodotto in Svizzera, come riferito da Plinio il Vecchio, che parla della tribù degli Elvetici. Gli inglesi, invece, arrivarono più tardi. Bisognerà aspettare il 120 d.C., sotto l’impero di Adriano. Il Pecorino romano, dunque, è come la città di Roma, millenario! Semmai ci fosse bisogno di testimoniarlo, si possono consultare ,come detto, gli scritti di Plinio, di Galeno, di Varrone, oppure il De Re Rustica, nel quale Columella descrive come si faceva il formaggio pecorino nel I secolo a.C., per scoprire che il metodo di lavorazione di allora si discosta poco da quello seguito oggi nei caseifici moderni. Pastori con le greggi sono rappresentati nelle stampe di Pinelli sullo sfondo dell’Agro romano, tra rovine di ville e acquedotti. Tradizione antichissima pure per la ricotta fresca (che è prodotta anche con il latte vaccino). Il cibo dei poveri Nelle zone di Latina e Frosinone, la vicinanza con la Campania ha ispirato produzioni di mozzarella di bufala e di fiordilatte che hanno assunto caratteristiche proprie e ben definite nel gusto. Questa è anche zona del Marzolino (perché il migliore è quello di primavera), formaggio caprino tenuto a scolare su assi di legno, poi stagionato in damigiane di vetro. Classici piatti della cucina laziale sono gli spaghetti a cacio e pepe, gli gnocchi di semolino gratinati al forno, il pecorino con le fave, gli spaghetti all’amatriciana: cucina di La Rivista · Giugno 2024 84

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