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La Rivista Cultura “mi pongo delle domande, quando vedo, nel bus, questi ragazzini sempre lì a guardare e scambiarsi reel” La Rivista · Dicembre 2023 74 forse lasciare la casa; e che lui aveva un problema fisico che durante le riprese avrebbe probabilmente avuto un peso, perché avrebbe comportato delle analisi, forse un intervento… Un intervento cardiaco. E non è questo, mi vien da chiederti, forse un po’ rischioso rispetto a loro, dato che in qualche modo la vita diventa parte effettiva del film? Certo, ma questa, diciamo, è la regola del documentario; tu inizi un film e il protagonista potrebbe morire domani… è proprio la prima regola, poi bisogna reinventare, devi imparare a rimettere in gioco le cose. Per questo il film l’abbiamo girato in due mesi per limitare al minimo… …la dispersività della storia vera e propria. Esatto, non su uno o due anni. Però prima c’è stata una preparazione, li ho incontrati spesso, si è creata una relazione intima tra me e loro. Questo ha fatto sì che, quando abbiamo girato anche con l’equipe, che era composta da cinque persone, loro erano a loro agio. Erano naturali. Ovviamente all’inizio c’è stato un periodo di adattamento, che però è durato solo qualche giorno. Poi hanno iniziato a dimenticarci. Questa spontaneità si nota ed è un grande talento, secondo me, degli interpreti (di sé stessi) ma anche tuo - che hai fatto in modo che la cosa accadesse. Prima accennavi a come la pandemia ha contribuito a cambiare le relazioni, soprattutto dei giovani, rendendoli ancor più connessi e tecnologizzati, ma per certi versi anche paradossalmente più distanti. Pensi che ci sia un modo di recuperare o creare nuove relazioni rispetto a quello che il covid ha in qualche modo esacerbato? Guarda, non lo so. Secondo me la pandemia ha semplicemente accelerato un processo che era già in atto. Cioè, da quando siamo un po’ tutti anche schiavi del nostro telefono, dalla mattina alla sera, già in un certo senso andiamo verso una società che è sempre più isolata, più esclusiva, privata – una problematica, secondo me, ancor più pesante negli adolescenti. Veramente inquietante. Ho un figlio di 5 anni e mi pongo delle domande, quando vedo, nel bus, questi ragazzini sempre lì a guardare e scambiarsi reel [video condivisi su Instagram, n.d.r.]; che non so neanche cosa sono perché sono un boomer, ma mi pare che passi l’idea che fare video, quale che sia, su tiktok o cose del genere possa in un certo senso assicurarti un futuro, anche economico. E questo fa sì che ti isoli. Però, ripeto, non penso sia colpa del covid, che penso abbia solo amplificato un trend preesistente. Non possiamo tornare indietro, fare un reset nella società e dunque non ci resta che cercare di migliorare quella attuale: una grande questione, bisognerebbe volerlo, prima, e magari evitare i telefonini a scuola… Francia e Olanda ad esempio hanno introdotto il divieto di utilizzo dello smartphone nelle scuole, mentre Finlandia e Paesi Bassi lo faranno il prossimo anno. Si, ma ancora una volta non si tratta dell’oggetto in sé, ma dell’uso che se ne fa. penso sia un problema più culturale che tecnologico. Ci sono poi studi (ad esempio quelli dello psichiatra tedesco Manfred Spitzer) che dimostrano che iniziare a usare la tastiera prima ancora d’imparare a scrivere a mano (sempre che mai lo si faccia) possa determinare delle carenze a livello logicocognitivo e argomentativo. Quello è evidente. Nei tuoi film racconti molto questa fase di passaggio, fluida, in cui non si è più bambini ma non ancora adulti. Mi sembra un ottimo scenario per raccontare le trasformazioni della nostra società. Infatti, anche nel film precedente ho parlato di questo tema. Penso che

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