La Rivista

Pazientemente mi ha spiegato che voleva sapere quali sono i nostri avversari, quelli che loro ammazzano noi e noi ammazziamo loro. Gli ho ripetuto che non ne abbiamo, che l’ultima guerra l’abbiamo fatta cinquanta passa anni fa, e tra l’altro iniziandola con un nemico e finendola con un altro. Non era soddisfatto. Come è possibile che ci sia un popolo che non ha nemici. Sono sceso lasciandogli due dollari di mancia per compensarlo del nostro indolente pacifismo, poi mi è venuto in mente che cosa avrei dovuto rispondergli, e cioè che non è vero che gli italiani non hanno nemici. Non hanno nemici esterni, e in ogni caso non sono mai in grado di mettersi d’accordo quali siano, perché sono continuamente in guerra tra loro, Pisa contro Livorno, Guelfi contro Ghibellini, nordisti contro sudisti, fascisti contro partigiani, mafia contro stato, governo contro magistratura – e peccato che all’epoca non ci fosse ancora stata la caduta del secondo governo Prodi altrimenti avrei potuto spiegargli meglio cosa significa perdere una guerra per colpa del fuoco amico. Però riflettendo meglio su quell’episodio mi sono convinto che una delle disgrazie del nostro paese, negli ultimi sessant’anni, è stata proprio non aver avuto veri nemici. (…) Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarsi un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori”. Fine della citazione. Successivamente Umberto Eco passa in rassegna diversi esempi storici e propone un’analisi trasversale che dimostra come i fenomeni della creazione di nemici e della designazione di capri espiatori si incrocino nel corso della storia, portando alla persecuzione a seconda delle epoche e dei luoghi, di donne accusate di stregoneria, di untori di manzoniana memoria, di categorie di stranieri, di intere etnie, e altri ancora… Mi chiedo cosa direbbe oggi Umberto Eco visto che l’Europa intera, di cui siamo parte integrante, si sta confrontando con una distruttiva aggressione militare della Russia nei confronti della giovane democrazia ucraina. Possiamo allora considerare tali prepotenti aggressori un nemico reale in cerca di capri espiatori, senza il bisogno di inventarne uno? Oppure l’indolente pacifismo di cui parla Eco ci induce ormai a dover ostentare sempre e comunque una qualche forma di comprensione anche nei confronti di chi attacca violentemente i nostri valori? Va ancora menzionato che esiste oggi una molteplicità di ricerche e teorie a proposito della funzione del capro espiatorio in ambito politico e sociale. Impossibile in questa sede darne conto anche solo succintamente. Ma c’è un aspetto che le accomuna: il consenso sull’effetto scatenante dello stato di “frustrazione collettiva” che attraversa le masse in periodi di crisi socio-economiche e/o sanitarie. È in tali periodi che può verificarsi una complice tendenza (di governanti e governati) a identificare un avversario esterno portatore di qualche diversità e vulnerabilità che, da un lato, serva da sfiatatoio della rabbia e del malcontento del popolo; e, dall’altro permetta di coprire le inadeguatezze (inevitabili?) dei poteri in carica. Ciò significa che il fenomeno del capro espiatorio è in fondo sul piano sociale un inganno collettivo, nonché l’espressione di una comunità che non sa riconoscere le proprie responsabilità e non ha ancora “imparato a imparare” dai propri errori. La Rivista · Dicembre 2023 52

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