La Rivista

mento proposto risiede nel fatto che ciascun paese potrà concordare con la Commissione un piano specifico per la riduzione del proprio deficit e debito, invece di rispettare regole fisse come avveniva in precedenza. Si concorderà quindi un tempo che va dai 4 ai 7 anni necessari per realizzare riforme e investimenti e nello stesso tempo ridurre deficit e debito, riduzione che dovrà essere – ha ribadito più volte Giorgetti – “graduale, realistica e sostenibile”. La riduzione del debito pubblico di un ventesimo l’anno fino a raggiungere la soglia del 60% rispetto al Pil, regola particolarmente stringente del precedente patto di stabilità e che molti paesi non sono mai stati in grado di rispettare, dovrebbe quindi essere superata. Resterà invece il vincolo di un rapporto tra deficit e Pil del 3% - è in corso la trattativa su come considerare gli interessi maturati sul debito, che appesantiscono in modo considerevole il bilancio dei Paesi fortemente indebitati come l’Italia. Proprio a ridosso del negoziato Ecofin sul patto a inizio dicembre, Mario Monti, già commissario europeo e presidente del Consiglio, ha pronunciato in un suo intervento pubblicato dal Corriere della Sera un giudizio piuttosto critico in proposito. Pur apprezzando i tentativi messi in campo per trovare un accordo, Monti ritiene infatti che la proposta formulata non sia all’altezza delle grandi sfide che l’Europa deve affrontare, e che riassume nel: “farsi capire chiaramente dai cittadini, investire nel proprio futuro economico e istituzionale, acquisire autonomia strategica” “allestendo rapidamente una politica estera comune e una difesa comune, che esige un bilancio comunitario adeguato più che maggiori spazi nei bilanci degli Stati membri”. Secondo Monti il testo in discussione sarebbe in definitiva poco comprensibile, eccessivamente influenzato dalla Germania e - nodo centrale - lascerebbe troppo poco spazio agli investimenti pubblici. Investimenti che invece sono oggi più che mai necessari per rimettere in moto l’economia dopo anni difficili, tenendo conto delle nuove sfide che fenomeni come i cambiamenti climatici o l’intelligenza artificiale pongono al continente europeo e non solo. Il suggerimento di Monti è che, se non dovesse essere raggiunto l’accordo, “sarebbe meglio per l’Europa tornare al tavolo di progettazione della Commissione”, “anziché cesellare ancora il testo in cerca del consenso di tutti”. I tempi però sono stretti e l’impegno più volte ribadito era stato quello di cominciare il nuovo anno con regole nuove, specie in una materia così delicata e importante come quella dei bilanci dei Paesi membri. Inoltre, l’avvicinarsi del voto per il rinnovo del Parlamento europeo, a giugno 2024, potrebbe non giovare alla ridiscussione di un accordo in tempi ragionevoli. E che sia già partito il clima da campagna elettorale, e non solo in Italia, è testimoniato dall’indiscrezione formulata a mezzo stampa sul fatto che il presidente francese Emmanuel Macron incoraggerebbe la candidatura di Mario Draghi alla guida della prossima Commissione europea, al posto di Ursula von der Leyen. Una possibilità cui lo stesso Draghi avrebbe detto di non essere interessato, ma che ha creato un po’ di scompiglio nel fronte del centro-destra italiano, che si è affrettato a precisare che si tratta una decisione da maturare solo dopo aver considerato il risultato delle elezioni europee, e non prima. Anche la discussione sulla ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), accantonata in questo primo anno di governo Meloni e poi più volte richiamata in queste ultime settimane, non ha giovato a rasserenare il clima nella maggioranza di governo tant’è che, visti anche i tempi stretti per l’approvazione della manovra di bilancio, dovrebbe slittare ancora al prossimo anno. La Rivista Europee L’avvicinarsi del voto per il rinnovo del Parlamento europeo, a giugno 2024, potrebbe non giovare alla ridiscussione di un accordo in tempi ragionevoli La Rivista · Dicembre 2023 17

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