spingono verso i confini dell’arte. Lo sentite? È il dialetto calabrese! Una serie di parole e di vocalità che risuonano tra le padelle e i fornelli delle cucine casalinghe creando, anche lungo le strade dei borghi più belli e delle città affollate, un’atmosfera familiare e autentica. Una molteplicità di lingue si è avviluppata lungo la Regione, abitata nei secoli da greci, romani, arabi, spagnoli. Di ognuno di loro, questa terra, ha conservato qualcosa, e così, le parole cadono nei sughi e si mescolano alle verdure riportando alla mente le storie più antiche. Un’influenza multiculturale che affiora e viene spalmata sul pane. La tavola è apparecchiata. U misalu (la tovaglia) è stata disposta. L’atmosfera è servita: mancate solo voi. Tra i primi piatti, la pasta. Non può mancare sulle tavole dei calabresi. Tra le più tipiche c’è la fileja: ricorda una fettuccina attorcigliata che viene accompagnata da diversi sughi della tradizione. Carne e pesce sono i protagonisti indiscussi delle portate principali e più popolari. Si va dal gustoso pesce spada alle polpette di carne. Alla fine del pranzo non può mancare il caffè preparato con la cicculatera (caffettiera) servito con il chinulliddi, un dolcetto tipico a base di pasta dolce e marmellata di uva nera. … e nel bicchiere Non ha partecipato al gran ballo del “rinascimento enologico italiano” degli anni ‘90 e 2000. È rimasta fuori dalla corsa modernista. E a livello di territorio, il suo essere rimasta indietro oggi è considerato, paradossalmente, un vantaggio. Grazie all’isolamento, la Calabria ha saltato a piedi pari “il turbomodernismo”, ha salvato le tradizioni autoctone, vede le caratteristiche locali ancora in essere, non ha intaccato l’impronta artigianale. Questa, con il nuovo modo di intendere e valutare il prodotto, è la cosa più ricercata, più importante. Le cantine calabresi che hanno attraversato incolumi le mode anni ’90 oggi, almeno in parte rispedite al mittente, su tutto: l’abuso di legni e vitigni estranei al terroir, oggi brillano per originalità e unicità. Chi poteva immaginare che l’arretratezza economica che ha severamente penalizzato la Regione, poteva salvaguardarne le identità arcaiche più nascoste? E quale identità più fondante di quella legata al mondo del vino di una regione chiamata Enotria - da oinos, vino, proprio per la sua straordinaria produzione vitivinicola - sin dall’VIII secolo avanti Cristo, dove già in età arcaica e poi soprattutto nel III a-C., nelle fonti si rincorrono nomi di vini famosi, spediti in ogni angolo del Mediterraneo conosciuto? Tornare ad evidenziare il valore aggiunto di questa vocazione millenaria è d’obbligo: così come lo è salutare il coraggio imprenditoriale dei tanti che oggi rilanciano un’idea del prodotto calabrese fondato sull’identità e sull’originalità: dalla rivoluzione del Cirò alle esperienze aspromontane, da Reggio al più recente consorzio vibonese. Nel vino, come nel turismo balneare, la Calabria sembra essere l’ultimo grande mistero da scoprire del Mediterraneo. Un mondo del vino centrale ed identitario Fino alla fine del secolo scorso, in Calabria il vino era considerato un alimento per le classi meno abbienti e un legame con la propria La Rivista · Settembre 2023 34
RkJQdWJsaXNoZXIy MjQ1NjI=