La Rivista

Giangi Cretti Direttore gcretti@ccis.ch La Rivista Editoriale Eppure, per quanto oscurato dalle polemiche, l’anniversario ha fornito il destro, e rivitalizzato l’estro, per svelare un patrimonio di risorse morali ignoto ai più, ma esistente. Ne è emersa così la natura della Costituzione come progetto di vita sociale. Infatti, la Costituzione non è un “regolamento”, che dice ciò che si può e ciò che non si può, riducendo i cittadini ad individui passivi, supini osservanti. Non è neppure un codice di condotta, sul tipo d’un codice penale, che mira a reprimere comportamenti difformi dalla norma. È invece la proposta d’un tipo di convivenza, secondo i principi ispiratori che essa proclama. “Sancisce” ma non sanziona, “riconosce”, “garantisce”, “rimuove”, “promuove”, “favorisce”, “tutela”: tutte formule che indicano obiettivi per l’avvenire. La Costituzione guarda avanti e richiede partecipazione attiva alla costruzione del tipo di società ch’essa propone. Vuole suscitare energie, non spegnerle. Vuole coscienze vive, non morte. Che dovrebbero trovare la loro ragion d’essere in una parola: Politica, cioè costruzione della pòlis. La Costituzione è una proposta, non un’imposizione. L’anniversario ha anche alimentato il sospetto, in questo caso fortemente corroborato dalle polemiche, che sia ignota: non solo a gran parte dei cittadini, ma anche a molti di coloro che, ricoprendo cariche pubbliche, spensieratamente le giurano fedeltà, probabilmente senza avere la piena consapevolezza di ciò che questo significhi. La Costituzione, è stato detto, è in Italia “la grande sconosciuta”. Ma c’è una differenza tra l’ignoranza dei governanti e quella dei governati: i primi, ignoranti, credono di poter fare quello che vogliono ai secondi; costoro, a loro volta ignoranti (e spesso ignorati), si lasciano, talvolta, fare dai primi quello che questi vogliono. In tal modo, l’ignoranza, anche, ma non solo, in questo campo, si conferma un instrumentum regni dei potenti contro gli impotenti. Ecco, dunque, che forse la prima insidia da cui la Costituzione deve guardarsi è l’ignoranza. Perché una Costituzione ignorata equivale a una Costituzione abrogata. Non fosse però che, almeno a parole, in generale concordiamo: la Costituzione è la base solida su cui si poggia la nostra convivenza civile, il nostro essere comunità di uomini e donne uniti da regole e valori condivisi. Che sono i fondanti di democrazia, libertà, solidarietà e pluralismo culturale, che la Costituzione esprime. Strumenti che servono per partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita sociale. Sicuramente con l’intento di diffonderne la conoscenza collettiva, vari e ben intenzionati si sono succeduti i tentativi di presentarla, ricorrendo all’artificio della metafora. Da quelli più semplici e immediati a quelli più immaginifici. Così la Costituzione, di volta in volta, è equiparata a un albero, che dobbiamo curare ogni giorno, se desideriamo raccoglierne i frutti; ad una fiaba senza tempo e senza età, che ognuno deve conoscere per vivere in armonia rispettando le regole, le persone e l’ambiente; ad un vascello che trasporta lontano. Suggestiva, perfino poetica, sicuramente condivisibile, quella proposta da Benigni al Festival di Sanremo che, in naturale sintonia con il contesto canoro, ha definito la Costituzione un’opera d’arte, che canta: la libertà e la dignità dell’uomo. In ogni parola sprigiona una forza evocativa e rivoluzionaria*, proprio come le opere d’arte, perché è uno schiaffo a tutto il potere. Ci fa sentire che possiamo vivere in un mondo giusto e bello, ci fa sognare che è possibile. Fra le tante, puntuale, centrata e risolutiva - non poteva essere altrimenti - quella del presidente Mattarella: la Costituzione è la nostra bussola, “Il suo rispetto è il nostro primario dovere”. Per noi che viviamo nel III millennio, abituati (assoggettati?) al GPS e a Google Maps, la bussola può sembrare uno strumento arcaico (un po’ come taluni ritengono la Costituzione). Nei fatti, è stata una delle invenzioni fondamentali per il progresso della civiltà. Allo stesso modo in cui la Costituzione è fondamentale per l’affermarsi e il perpetuarsi della democrazia. Non stupisca che, con la sua similitudine, sia il presidente Mattarella a cogliere il senso profondo della Costituzione. Come ci ha ricordato Benigni nella sua perorazione sanremese, tra coloro che siamo soliti definire ‘padri costituenti’ c’era Bernardo Mattarella, padre dell’attuale Presidente della Repubblica. Ne deriva, che il Presidente e la Costituzione hanno avuto lo stesso padre. La Costituzione è quindi sua sorella. Come dubitare che non la conosca bene? *nel senso che gli conferisce Charles Péguy: la rivoluzione sociale o sarà morale o non sarà È un’impressione che condivido. Il 75° anniversario dell’approvazione ed entrata in vigore della Costituzione repubblicana, che in altri tempi avrebbe suscitato maggiore interesse, è passato abbastanza in sordina. Messo in secondo piano dal rincorrersi delle emergenze, ma anche (tatticamente?) silenziato, con superficialità alternata a spocchiosa arroganza, è stato recentemente riesumato, suo malgrado, a corollario di spiazzanti quanto pretestuose (distraenti?) polemiche sul diritto (inviolabile?) a dire la propria: in qualsiasi caso, in qualsiasi forma, da qualsiasi pulpito, scomodando a nobile supporto l’articolo 21, rivendicando, per sovrappiù, il diritto all’odio. In questo caso, senza trovare alcun appiglio costituzionale, ma addomesticandone alla bisogna, rovistando ed estrapolando qua e là. A rovesciare quelle che sono sembrate dis cussioni sortite da un mondo al contrario - nel quale solo per intenzionale provocazione o per mera e incolpevole disperazione è possibile riconoscersi - ci ha pensato Mattarella, rimettendo il campanile al centro del villaggio. La Costituzione è nata per “superare, espellere l’odio, come misura dei rapporti umani. (...) Le nostre istituzioni sono basate sulla concordia sociale, sul perseguimento — attraverso la coesione, dunque la solidarietà — di sentimenti di rispetto e di collaborazione: l’amicizia riempie questi rapporti, rendendoli condizione per la felicità”, contro tutti i “pretesti per alimentare i contrasti. Siano la invocazione di contrapposizioni ideologiche; la invocazione di caratteri etnici; di ingannevoli, lotte di classe; o la pretesa di resuscitare anacronistici nazionalismi”. Difficile non concordare. Effettivamente, la Carta è nata – dopo il nefasto ventennio fascista culminato nella seconda guerra mondiale - come una promessa alle generazioni future. Voluta, come ebbe a dire Pietro Calamandrei, per debellare il dolore e per ridurre la maggior quantità possibile di infelicità. In questo senso la Costituzione, come la democrazia, è un paradosso, perché chiede a tutti le virtù di pochi, rappresentando, al contempo, un debito di riconoscenza, ben espresso dalla formula coniata da Churchill: “mai tanti dovettero così tanto a così pochi”.

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