La Rivista
che hanno donato a noi la ricchezza più grande che c’è: la biodiversità ” e si vuole “ contro il profitto e per un’e- tica della convivenza tra esseri vi- venti ”. Rohrwacher lancia insomma un monito che tuttavia si conclude, per bocca di un agricoltore, con una parola di speranza: “ ci avete seppel- lito, ma non sapevate che eravamo semi ”. Si avverte dunque anche un richia- mo a una religiosità perduta, tema senz’altro rinvenibile in lavori pre- cedenti; ad esempio nel combattuto rapporto col cattolicesimo da parte della giovane cresimanda prota- gonista di Corpo celeste . Difficoltà inevitabili, d’altronde, considerato il modo in cui vengono ritratti tutti gli ecclesiastici della fiction, a partire del sacerdote Don Mario, peren- nemente immusonito, scorbutico e quindi altrove rispetto a ciò che dovrebbe essere o rappresentare; per cui resta impressa e ben ideata la scena in cui la giovane pare scoprire un sentimento ignoto, ma finalmen- te suo , allorché si trova a carezzare il crocefisso di una chiesa semiabban- donata, conseguenza, ancora una volta, dello spopolamento dei centri rurali a favore della grande città. Cantare è imitare la natura Anche il cortometraggio Una can- zone celebra – attraverso la musica – il vivere comunitario di un tempo, quell’atmosfera sempre più fagoci- tata dall’individualismo estroflesso dei social e dalla tecnica assurta a neoreligione. Canzoni di pace e di guerra, di svago e di fatica compon- gono il soundtrack di una pellicola interamente basata su filmati dell’I- stituto Luce, mentre voci di uomini e donne – cui si decide di non dare volti – raccontano il rapporto con la musica. “ La gente una volta – dice una donna - ascoltava meno e can- tava di più, forse adesso l’ascolto ha sostituito il cantare… C’è sempre il sottofondo musicale, però si canta di meno ”. Mentre, dice qualcun al- tro, “ un amico che andava a trovare un altro amico arrivava cantando ”. In questo tempo non così lontano insomma la musica era parte es- senziale dei rapporti interpersonali. Cantare inoltre, è imitare la natura, le voci degli animali; è un po’ come mettersi un costume, un modo di imparare parole e posture, svelando orizzonti nuovi. Ne viene una pic- cola sinfonia visiva e vocale, che ri- flette sul senso, primordiale, dell’arte del fare musica assieme. “Tutto è partito dal Sud” Vi è infine Futura , “film colletti- vo” realizzato assieme a Pietro Mar- cello e Francesco Munzi. Rohrwa- cher stessa racconta come nacque l’idea. Era l’inizio del 2020 e si pensò di partire per un viaggio tra i giovani italiani alla scoperta di come imma- ginassero il futuro. Partendo dal Sud (dato che, come dice in un’intervista tra il serio e il faceto: “ tutto è partito dal Sud, Garibaldi è partito dal sud, l’esercito americano al sud, e quindi ho pensato… di copiare… ”). Ma che significa giovani? Sono “ coloro che non sono più bambini, ma anche non sono ancora adulti, coloro che sono impegnati nell’arduo compito del diventare adulti, una sorta di creature soprannaturali ”. Con toc- co lieve, Futura regala una serie di ritratti di questi “divenenti” raccolti dalle periferie ai centri urbani, dalle fabbriche alle aule universitarie, passando per gli studenti della scuo- la Diaz a Genova (che poco sanno del celebre G8 del 2001, quando ancora non erano nati). I registi scelgono di lasciarli parlare, di questioni esi- stenziali, di come si percepiscono, cosa li attira e li preoccupa, di che Il protagonista di Lazzaro Felice (2018), una fiaba per così dire pre-urbana che inscenava quel contrasto anche guardando ai marginalizzati della società interconnessa. La Rivista · Marzo 2023 74
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