La Rivista

cora, sono parole conosciute all’este- ro, non solo tra gli addetti ai lavori. L’italiano, inoltre, è la principale lingua usata nei melodrammi com- posti anche da compositori stranieri. Gli amanti del Bel Canto sono molto numerosi in tutto il mondo. Proprio a tale proposito vorrei fare notare una cosa: la lingua usata nelle opere liriche risulta essere spesso difficile da comprendere a causa di arcaismi lessicali e di una sintassi artificiale, adattata alle esigenze musicali del compositore. E non parliamo, poi, del vocalismo allungato che rende incomprensibili intere frasi di arie famosissime. Io, per esempio, da bambino ero convinto di sentire alla radio “ la donna è un mobile, qual spuma al vento ” oppure “ amami al freddo, amami o ti frego ”. Avevo la fantasia che viaggiava a mille! Un libretto sotto gli occhi o i sottotitoli che scorrono su uno schermo, come avviene in certi teatri all’estero, non sono una garanzia di comprensione sia per le persone di madrelingua che per gli stranieri. Con la patata in bocca Per questo motivo sorrido quan- do sento certe dotte disquisizioni su quale sia la musica migliore. Il festi- val di Sanremo offre regolarmente tanti punti riflessioni in tal senso. C’è chi rimpiange la chiarezza di Nilla Pizzi, Gigliola Cinquetti, Mina, Domenico Modugno, Mino Reitano, Fred Bongusto o Peppino Di Capri. I cosiddetti intellettuali, invece, ri- mangono fedeli ai testi di Guccini, De Gregori o De André, con alcune concessioni verso Rino Gaetano o Lucio Battisti. I romantici si trastul- lano con Baglioni o Venditti. Non voglio discutere i gusti mu- sicali delle persone. Prendo sem- plicemente atto che ci sono anche “anziani” che apprezzano le canzoni di Madame e “giovani” che, invece, ascolterebbero per ore solo Madama Butterfly . Per me va bene così. L’uni- ca osservazione che mi sento di fare è quella riguardante la pronuncia presente, ormai da diversi anni, in molte canzoni italiane: - la cosiddetta “zeppola” (tecni- camente sigmatismo ), tipica di Jovanotti (per es. “ quando sono solo ”), ma anche di altri artisti più giovani (per es. “ ti sembro un mostro ”); - l’apertura di /e/ (per es. “ viäni via con mä ”, “ pärchä ”); - il passaggio di /a/ e /o/ in /å/ (per es. “ ci ståi ?”, “ che vuåi ?”); - lo slittamento degli accenti (per es. “ vieni in cìtta ”, “ bevo il càffe ”); - la riduzione delle vocali finali in / ɘ / (per es. “ far ɘ ”, “ mangiar ɘ ”, “ important ɘ ”, fratell ɘ ). Devo anche ammettere che ci sono alcune canzoni che mi mettono in seria difficoltà, perché non capisco veramente nulla di quello che dico- no. Pur essendo in italiano (e non in dialetto), la sequenza sillabica di intere parole viene ridotta in una specie di poltiglia vocalica che la rende molto simile all’anglo-ame- ricano usato nei rap. Qualcuno dice che certi artisti, oggi, cantano consa- pevolmente con la “patata in bocca” proprio per avvicinarsi a quel tipo di modelli. Nulla di nuovo, comunque. Vi ricordate di Prisencolinensinain- ciusol di Adriano Celentano? Un patrimonio immenso Chi ha la fortuna di insegnare l’italiano può attingere da un patri- monio musicale immenso che com- prende generi completamente diver- si. Si potrebbe perfino insegnare Sto- ria della lingua italiana attraverso l’analisi del lessico usato nei secoli, magari partendo dal Canzoniere di Francesco Petrarca, ispirato dalla figura di un’altra Laura. Alla fine, comunque, sono d’accordo con Edoardo Bennato… sono solo canzonette . Il resto, invece, è solo blowing in the wind . Lascio a voi trovare la risposta… the answer . Il resto, invece, è solo blowing in the wind La Rivista · Marzo 2023 67

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