La Rivista
Se ripensi alla vita a Venezia quando eri ragazzina, cos’è cambiato? La “calle” dove vivo io ha 19 ap- partamenti; quando ero ragazzina erano tutti abitati da famiglie; che avevano più o meno gli stessi orari, lo stesso stile di vita e i medesimi ritmi; ora siamo gli unici rimasti: sopra, sotto, al lato, abbiamo locazioni turis- tiche; tutti, solo airbnb e affitti brevi; alle 4 di mattina fanno check out, trascinando bagagli e svegliandoci regolarmente; accanto fanno festini in terrazzo fino a notte fonda; è un continuo telefonare ai proprietari in piena notte perché un codice non va, perché i proprietari di case non sono di Venezia, sono “foresti” che mettono un codice sul campanello e manda- no rumorose donne delle pulizie a sistemare a tutte le ore. Insomma, la differenza è nella vita di tutti i giorni, che è “violentata” nei ritmi normali dall’assenza totale di vicinato, totale indifferenza verso i residenti e le loro esigenze. Orde di ragazzi urlanti nel fine set- timana vengono da fuori Venezia a festeggiare addii al celibato e nubi- lato, chiunque torni da un ristorante canta, fa la pipì o si arrampica in calle per un selfie, e ometto tante altre cose che potete immaginare si possono fare in una strada buia; i gps messi al massimo volume o le telefo- nate con amici e parenti rimbomba- no ovunque. Insomma, le strade dove viviamo – non essendo protette dal vicinato – sono terra di nessuno. Sotto certe finestre di Venezia pendono degli striscioni con il numero “49’999”: puoi raccontare di cosa si tratta? È la protesta silenziosa dell’as- sociazione Venessia.com che inten- deva attrarre l’attenzione sul calo inesorabile di abitanti che ci ha visto scendere al di sotto della soglia psi- cologica dei 50 mila; che poi, siamo sicuramente meno dei dati ufficiali, visto che in troppi mantengono la re- sidenza fittizia a Venezia, ma abitano in altri comuni della terraferma. Potresti definire il tipico o la tipica veneziana? Se esistesse ancora, per descri- verlo basterebbe vedere una comme- dia di Goldoni che descrive alla perfe- zione la società veneziana non molto diversa da quella di 70 anni fa. In ogni caso, definisco il veneziano un survivor ; una persona che ci cre- de, ha ancora speranza, e ama dav- vero la sua città. Certamente gente pratica, lavoratrice e molto, molto paziente! I veneziani rimasti, cosa fanno? Come si arrangiano? I pochi residenti rimasti in zona cercano qualche forma di aggrega- zione sociale, ma sono fagocitati dall’affitto selvaggio degli apparta- menti confinanti, e non è per niente facile. Cerchiamo di sentirci ancora una comunità ma ammetto che, se nessuno arginerà la speculazione, sarà sempre più difficile. Quali sono le battaglie quotidiane dei veneziani? Ci sono anche soddisfazioni? La battaglia quotidiana normal- mente è riuscire ad arrivare a casa con la spesa, facendo la gimkana tra i turisti; è vero che viviamo di turismo ormai, io per prima, ma purtroppo la gente quando arriva a Venezia, non essendo abituata a camminare, e non immaginando la nostra esistenza, si abbandona ad abitudini che a casa propria non seguirebbe. La battaglia è trovare i servizi e mantenerli (vedi il mantenimento dell’Ospedale Civile in città); ogni giorno un veneziano si sveglia e si chiede se ci sarà l’acqua alta o meno. Le battaglie sono molte; ma la sod- disfazione di svegliarsi a Venezia e non davanti a una colata di cemento, secondo me ripaga di qualsiasi sa- crificio. C’è ancora la tendenza dei veneziani di mollare e andarsene altrove, sulla terra ferma? Venezia di per sé è fragile? Certo! I prezzi di compravendita sono alti ed è facile mollare tutto e andare a vivere in terraferma, dove le case costano molto meno e si hanno le comodità normali di ogni posto al mondo; non giudico, sono scelte familiari e dettate da ragioni econo- mico-sociali assolutamente perso- nali. Venezia è difficile ed è una sfida continua, io capisco e mi rendo conto. Campo Santo Stefano, dove i bimbi ancora si incontrano e giocano fuori dopo la messa domenicale delle 11.30 La Rivista · Marzo 2023 36
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