La Rivista
italiano, visto che altrove – anche da noi in Svizzera - sono già molto più avanti. I dati di Stelvin e Guala Clo- sures, ci dicono che oggi, nel modo, quattro bottiglie su dieci sono imbot- tigliate con tappo a vite, con una per- centuale che in Europa Occidentale, storicamente più tradizionalista, è passata dal 29% nel 2015 al 34% nel 2021 (22% in Italia). È opinione diffusa che i tappi a vite possano andar bene, al limite, per vini giovani, da consumare in fretta, comunque non da invecchiamento. Non è così. Almeno non lo è per Ful- vio Mattivi, ricercatore della Fonda- zione Edmund Mach di San Michele all’Adige, che si schiera con gli Svitati e cita le analisi dell’Australian Wine Research Institute, che già nel 1999 spiegava che il tappo a vite presenta una permeabilità all’ossigeno molto più bassa e variabile a seconda del rivestimento utilizzato all’interno della tappo. Cosa vuol dire? Che il vino, invec- chiando, rischia molto di meno l’os- sidazione: « Nelle bottiglie con questa chiusura, a distanza di anni, il vino dimostrava un colore ancora brillan- te e presentava delle caratteristiche organolettiche ideali. Sia per i vini rossi che per quelli bianchi, in queste degustazioni, le bottiglie con tappo a vite erano uguali alle migliori botti- glie con tappo di sughero ». Certo, i sostenitori del sughero so- stengono che quest’ultimo è elastico, poroso e consente lo scambio di ossigeno che fa invecchiare il vino. Ma poi il sughero conviene che stia a contatto con il vino, per questo si mettono le bottiglie coricate quando si invecchiano, e così si cerca di evi- tare funghi e muffe. Talvolta invano. Una cosa è certa: “non sa di tappo” Cancellata di colpo quella ritua- lità, che solo il turacciolo impone, declinata con il taglio della capsula, l’abilità di cavare il tappo, l’atto di an- nusarlo e rimirarlo, preludio alla de- gustazione e al sollievo del giudizio : “ non sa di tappo ”. Tutto finito, destinato ad accomo- darsi in qualche polveroso archivio della storia? Mah, si vedrà. Quello che è certo che così si evita il rischio, pur sempre elevato e irritante ogni qualvolta stappiamo un vino di pre- stigio, di trovare una bottiglia che sa di tappo (ne parliamo anche nell’ar- ticolo che trovate a pag 89 – ndr ). Con soddisfazione di camerieri che, sapendo di aver servito una bottiglia con tappo a vite, si trovano con- frontati con quei clienti supponenti, che si improvvisano sommelier, e sentono l’odore di tappo dappertutto, anche quando non c’è (soprattutto nei vini artigianali, che non uniforma- no profumi e colori con tecniche da enologo). Questo non significa che a breve ci dovremo congedare dai tappi di sughero . Verosimilmente continue- ranno a rimanere non solo vestigia simbolica di un recente passato per alcuni vini importanti. Capisco che si faccia una certa fatica ad imma- ginare un Barolo con tappo a vite (il disciplinare lo consentirebbe). Pare che produttore piemontese abbia costeggiato l’azzardo. Ma per il mo- mento non è andato oltre. Si tratta di sperimentare (immagino che qual- cuno lo stia già facendo): s’imbottigli Fra i pregi del tappo a vite: la facile chiusura La Rivista · Giugno 2023 88
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