La Rivista

GLI “SVITATI”: ECCOPERCHÉ IL TAPPOAVITENONDEVEFAR STORCERE ILNASO È una reazione pressoché automatica, consolidata nel tempo, che difficilmente riusciamo a prevenire: se ti arriva in tavola una bottiglia con il tappo a vite, quello di alluminio per intenderci, come minimo storci il naso e pensi che ti stiano rifilando un vino di serie B. Un vinello da quattro soldi, da supermercato, una ciofeca frutto di chissà quale intruglio. La Rivista L’Italia da bere il friulano Silvio Jermann, il veneto Graziano Prà, il trentino Mario Pojer e gli altoatesini Franz Haas Jr e Maria Luisa Manna. Si sono messi in testa di spiegare al pubblico e agli intenditori quanto sia importante la rivoluzione del tappo a vite. Ciò che ha portato i cinque Svitati a valorizzare il tappo a vite è l’obiet- tivo che sta dietro al suo utilizzo: il perfetto mantenimento di quelle qualità organolettiche del vino tanto ricercate e valorizzate dal lavoro in vigneto e in cantina. “ Il problema del tappo esiste: tante produzioni ven- gono rovinate dal sughero ”, spiega Jermann. “ Con il tappo a vite questo non succede: la garanzia di tenuta è incredibilmente maggiore, quasi al 100%, a meno di difetti meccanici di chiusura. Con il tappo di sughero ogni bottiglia è diversa: abbiamo fat- to delle degustazioni alla cieca con i nostri vini, sia bianchi che rossi, e abbiamo visto che anche dopo dieci anni il risultato del tappo a vite è uguale o più spesso migliore a quello del tappo di sughero, anche quando ha mantenuto la sua funzione otti- male ”. Non è un’iniziativa estemporanea Non si tratta di un’iniziativa estemporanea, perché questi produt- tori stanno sperimentando i tappi a vite già da anni, per dare una base scientifica alle loro intuizioni. Gente che viaggia, per definizione, i produt- tori. E così, parecchi anni fa, quando Prà arriva in Colorado e assaggia un Sauvignon Blanc da 30 dollari, imbot- tigliato con il tappo a vite, comincia a mettere in dubbio le sue certezze sui turaccioli tradizionali. Del resto, i primi tappi a vite, detti Stelvin da uno dei produttori, erano già comparsi negli anni ’60 in Borgogna. Superata la fase di sperimentazione ora, gli Svitati si sentono pronti e lan- ciano la sfida. Anche per il mercato C onseguenza del fatto che (anche) il mondo del vino è impregnato di pregiudizi atavici, nutriti spesso dalla fedeltà a quella tradizione, che ci fa accettare in modo acritico qualun- que nefandezza arrivi dal passato meglio se intriso di ruralità (il vino del contadino, la sua grappa), o qua- lunque consuetudine, spacciata per sacra regola intoccabile. Un dibattito animato e agitato Il dibattito, talvolta piuttosto cru- do proprio per questa sua ‘sacralità’ (come osi?), anima e agita da molti anni esperti e riviste del settore. Ora un gruppo di produttori appassionati - non proprio ‘signor nessuno’, anzi grandi, e visionari, anche se i puristi li ritengono temerari - ha deciso di fare piazza pulita di vecchi pregiu- dizi, e riunitosi in associazione, si riconosce in un nome che è tutto un programma: Gli svitati . Sono il piemontese Walter Massa, La Rivista · Giugno 2023 87

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