La Rivista
segno di protesta contro il fascismo, aveva strappato il passaporto italiano e si era naturalizzato svizzero, ed il fratello maggiore Francesco, futuro tassista a Lugano, «che vagheggiava di un internazionale socialista per il riscatto dell’Europa» . Stiamo riprendendo alcune di que- ste notizie da Mario Comensoli e Giuseppe Martinola Storia di un car- teggio artistico , di Mario Barino («Il Cantonetto», Anno LVII-LVII, N. 5-6, Lugano novembre 2011, pp. 110-120). Comensoli trascorse la sua infanzia e la sua prima gioventù nel quartiere popolare di Molino Nuovo, un ag- glomerato che prende il nome da un antico mulino azionato dalle acque della valle di Vira e del ruscelletto della Bavosa, che oggi scorre sotter- raneo. Le esperienze vissute in quel rione proletario di Lugano avrebbero «marcato profondamente la sua sen- sibilità» e creato il substrato della sua «pittura permeata di uno spirito umanistico, rivolta soprattutto agli emarginati. I temi della sua narrazio- ne hanno infatti sempre radici nella realtà sociale» (Wikipedia). Proprio, ispirandosi alla realtà sociale luganese, cominciò a dipingere i suoi quadri, che suscitarono subito l’at- tenzione del pubblico e della critica tanto che, nel 1943, la Fondazione Torricelli gli concesse una borsa di studio che gli permise di seguire dei corsi alla Scuola di Arti Decorative di Zurigo, dove si stabilì a partire dalla primavera dell’anno successivo. Ma Lugano e Zurigo gli stavano strette e lui sognava Parigi, dove si recò nell’immediato dopoguerra anche con la moglie Hélène Frey (1914- 1994), sposata nel 1945, che lo avreb- be sempre spronato e sostenuto nella sua attività artistica. Nel corso dei suoi soggiorni nella capitale francese, Comensoli iniziò un nuovo percorso «nel solco del post-cubismo» , la cor- rente pittorica che proprio in quegli anni (‘40 del XX secolo), era volta a superare la scomposizione delle forme della realtà caratteristica del cubismo. Dopo l’esperienza parigina, Comensoli fece ritorno a Zurigo, dove si stabilì definitivamente e si impose come pittore della realtà sociale e del dissenso. La sua prima consacrazio- ne avvenne con la personale che, nel 1953, gli dedicò il museo Helmhaus, dove espose anche alcune sculture. Con il passare del tempo, a sottoline- are la sempre maggiore importanza della sua opera, altre mostre segui- ranno: nel 1974 a Villa Malpensata di Lugano; nel 1986 allo Aargauer Kun- sthaus di Aarau e infine, nel 1989, nel massimo tempio artistico svizzero, il Kunsthaus di Zurigo. Cicli e temi pittorici Come per tanti altri grandi artisti, con il passare del tempo in Comen- soli cambiano, grosso modo, i cicli o i periodi con temi particolari: dal 1949-1951 sono i Ciclisti ( Velofahrer ); il periodo 1957-1960 è dedicato ai Lavoratori in blu ( Blauen Periode ); dal 1962 al 1969 il tema principale è Gli incontri ; poi la Pop Art e Scene di discoteca ( Discoszene ) dal 1968 al 1978 e dal 1983 al 1987 Gioventù in movimento ( Bewegte Jugend ). Ad attirare maggiormente l’attenzio- ne del pubblico e della critica sull’arte di Comensoli è il ciclo dei Lavoratori in blu o Uomini in blu , dal colore del- la tuta degli operai, nel quale egli sco- pre «la nuova estetica» delle migliaia di lavoratori giunti sulle rive della Limmat soprattutto dal Meridione d’Italia. Tra quanti lo incoraggiarono a prose- guire il suo impegno artistico su que- sto tema ci sono stati anche l’italiano Carlo Levi e lo svizzero Max Frisch. Proprio «con quest’ultimo verrà pre- miato a Zurigo dalla comunità italia- na nel 1970, l’anno del referendum anti-stranieri bocciato di misura dal popolo svizzero» (Wikipedia). A ri- marcare il suo impegno a favore dei Con Moritz Luenberger, futuro consigliere federale e Presidente della Confederazione, al Coopi (foto archivio M. Barino) La Rivista · Giugno 2023 64
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