La Rivista
le sue sfortunate vicende lavorative, amorose e linguistiche. Sono an- che convinto che tutti noi, almeno una volta al giorno, commettiamo, involontariamente, un errore gram- maticale nella nostra lingua. E non parliamo di quando dobbiamo usare un’altra lingua! Per fortuna, a livello scritto, ci sono i programmi di cor- rezione automatica. A livello orale, invece, dobbiamo sperare nell’in- dulgenza (o nell’ignoranza) di chi ci ascolta. L’imprevedibilità della comunicazione Per me Il dialogo tra il vigile e l’automobilista fa emergere uno dei tanti limiti dell’insegnamento delle lingue straniere: l’imprevedibilità della comunicazione, che può essere caratterizzata da devianze linguisti- che di ogni tipo (nostre o degli altri). I moderni manuali sono costruiti in modo tale che, per ogni lezione, viene affrontato un tema grammati- cale inserito in specifiche sequenze comunicative. Lo studio fine a sé stesso della grammatica non è più contemplato. Per quanto riguarda l’uso dell’impe- rativo, in particolare, sono previste in genere due lezioni con una serie di raccomandazioni da fare/ricevere. Classiche, sono in questo senso, le situazioni in una farmacia o in un ambulatorio medico, nel quale si dovrebbe usare il Lei , oppure in con- sigli su come viaggiare, nelle quali vengono provate le forme con il tu / voi . E così gli studenti dovrebbero imparare a capire o a formulare frasi come Prenda questa medicina! Non faccia il bagno! Compra il biglietto! Non lasciare il bagaglio incustodito! Rivolgiti alla Polizia! Rispetta i limiti di velocità! Uscite dall’autostrada! Va bene, ma come può essere inter- pretata a una frase come quella del vigile? Non è prevista dai manuali e liquidare il pubblico ufficiale come uno zotico ignorante mi sembra riduttivo. Anche la solita lamentela verso un sistema scolastico deca- dente in cui, secondo molti, non si insegna più bene l’italiano, non mi sembra adeguato. Si fa presto a dire grammatica… Personalmente, nelle mie lezioni, cerco sempre di fare una distinzione tra la grammatica trattata nel ma- nuale e l’effettiva realtà linguistica con cui ci si potrebbe confrontare (non solo quella italiana). Spiego che una buona parte degli italiani usa, oltre che il proprio dialetto (soprat- tutto in alcune zone della Penisola), anche una lingua vicina allo stan- dard, ma con diverse connotazioni regionali, che variano sensibilmente a seconda di dove ci si trova. Solo così, infatti, posso spiegare certe incongruenze rilevate dalle persone che frequentano i miei corsi nei loro contatti linguistici con i parlanti di lingua italiana, al di fuori dei para- metri previsti dal manuale. « Nel libro c’è scritto che l’articolo lo si usa davanti a parole che iniziano con z o s impura. Ma l’altro giorno ho sentito in un ristorante di Locar- no il zucchero e il svizzero. Chi ha ragione? », mi chiese un giorno uno studente particolarmente interessato a questioni di grammatica. Risposi che nell’italiano del Nord la tendenza è proprio quella di elimi- nare l’articolo lo , che viene percepito inconsciamente come un’inutile complicazione. Mi ricordo, in questo senso, mia madre, ex-insegnante, mentre sottolineava, in rosso, gli er- rori dei suoi alunni veneti che scrive- vano il zio al posto di lo zio (o il sio ). Inoltre, se la regola vuole lo gnocco , Fantozzi e Filini giocano un’improbabile partita a tennis, immersi nel nebbione padano (Fantozzi, 1975). « E allora ragioniere che fa? Batti?! » La Rivista · Giugno 2023 51
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