La Rivista
Per contrastare questa situazione, nel dicembre del 1998 il governo italiano – allora guidato da Massimo D’Alema – introdusse una norma 1 secondo la quale i cittadini italiani che si fossero trasferiti in taluni Stati o territori considerati “ a regime fiscale privilegiato ”, sarebbero stati considerati come residenti fiscali in Italia “ salvo prova contraria ”. In tal modo, veniva dunque introdotta una presunzione di residenza fiscale in Italia, ribaltando l’onere della prova: in caso di controlli da parte delle autorità fiscali italiane, in questi casi sarebbe quindi stato il contribuente a dover dimostrare l’effettività della sua residenza fiscale estera. 2. La „black list“ italiana del 1999 e le altre „liste“ Per poter rendere applicabile la norma di cui sopra, nel maggio del 1999 il medesimo governo italiano individuò, attraverso un decreto mi- nisteriale (D.M. del 4 maggio 1999), appunto gli “ Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato ” (di seguito, “ black list del 1999 ”). In tale provvedimento, insieme ad assola- te isole caraibiche (ad es., Aruba e Bahama), poco stabili stati africani (Gibuti e Liberia), comparivano an- che alcuni Paesi assai vicini all’Ita- lia, quali San Marino, il Principato di Monaco e appunto la Svizzera. Invero, negli anni seguenti furono adottate – oltre alla black list del 1999 – altre “liste nere” (e “bianche”), con un diverso spettro applicativo: in particolare, si possono citare la black list del 2001 relativa agli Stati e territori a regime fiscale privilegia- to ai fini del regime sulle c.d. Con- trolled Foreign Companies (CFC) e quella del 2002 relativa all’indeduci- bilità dei costi sostenuti con fornitori localizzati in Paradisi fiscali. L’inclusione della Svizzera nella black list del 1999 rispondeva so- stanzialmente alla necessità di contrastare il segreto bancario che, ancora in quegli anni, costituiva un principio cardinale dell’ordinamento elvetico, privando d’altro canto le au- torità fiscali estere della possibilità di conoscere la situazione patrimo- niale dei propri contribuenti. Come noto, gli avvenimenti del quindicennio successivo modifi- carono radicalmente tale stato di fatto, che ebbe conclusione nel 2015: nel febbraio di quell’anno fu infat- ti sottoscritta tra Svizzera e Italia una fondamentale modifica della Convenzione contro le doppie impo- sizioni del 1976, con l’introduzione dello scambio di informazioni fiscali su domanda. In tali circostanze (se- gnate anche, in Italia, dalla stagione della “ voluntary disclosure ”), i due governi concordarono anche una c.d. roadmap finalizzata alla norma- lizzazione dei rapporti fiscali tra i due Stati e che prevedeva, tra l’altro, la rinegoziazione dell’accordo sulla fiscalità dei lavoratori frontalieri del 1974 e l’impegno per l’Italia a stral- ciare la Svizzera dalle varie “liste nere” fiscali in cui essa era inclusa, tra le quali appunto la black list del 1999. A seguito di tali intese, la Svizzera fu inserita nella white list relativa agli Stati con i quali è attuabile lo scam- bio di informazioni fiscali e d’altra parte, dal 2016, l’Italia abolì le liste del 2001 e del 2002. Nonostante que- sti passi in avanti, i governi italiani succedutisi negli anni non hanno mai dato seguito all’impegno circa l’eliminazione della Svizzera dalla black list del 1999; segno, questo, di una perdurante diffidenza delle au- torità italiane rispetto, in particolare, alla mobilità delle persone fisiche nel contesto italo-elvetico. 3. Gli effetti della „black list“ Come si notava sopra, la finalità per la quale la black list del 1999 era sta- ta inizialmente adottata riguardava la presunzione di residenza fiscale in Italia per i soggetti, cittadini Lo scorso 20 aprile 2023, la consigliera federale Karin Keller Sutter, capo del dipartimento federale delle finanze, e il ministro delle finanze italiano Giancarlo Giorgetti hanno firmato una dichiarazione congiunta di portata, per così dire, storica La Rivista · Giugno 2023 22
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