La Rivista
È stato un qualificato centro di promozione culturale, della cooperazione italo-svizzera e della formazione politica socialista; luogo di assistenza e di soccorso per i perseguitati politici; punto di incontro formativo e di inziative sindacali e di sostegno delle lotte politiche dei lavoratori. Dopo quasi 120 anni di attività chiude i suoi battenti Il Coopi di Zurigo al serviziodel socialismo e dell’emigrazione A Nel corso della secon- da metà dell’Ottocento, l’emigrazione di grandi masse di lavoratori, causata dalla rivoluzione industri- ale e dalla prima meccanizzazione agricola, non è stata un fenomeno prettamente italiano. Tanti altri pae- si europei hanno dato, infatti, un alto contributo al più vasto movimento di popoli dell’era moderna. Dure condizioni dell’emigrazione italiana Dalle statistiche ufficiali risulta che, negli ultimi decenni del XIX secolo, la nostra emigrazione tempo- ranea o stagionale oscillava intorno a 100 mila espatri annui e quella permanente, cioè di gente che si trasferiva per sempre all’estero, fu di 20.000 nel 1876, crebbe a 196.000 nel 1888, discese a 113.000 nel 1889, a 105.000 nel 1890, risalendo a 176.000 nel 1891 e ritornando a 117.000 nel 1892, anno in cui la popolazione ita- liana era di poco più di 31 milioni. Se consideriamo gli espatri in base ai rispettivi abitanti, l’Italia veniva dopo l’Irlanda, i paesi scandinavi, la Scozia, l’Inghilterra e il Galles. Per quanto riguarda l’immigrazione italiana verso la Svizzera, sappiamo che gli espatri verso questo paese, secondo i dati ufficiali, furono 60.410 nel periodo 1876-1880; 71.175 nel pe- riodo 1881-1890 e ben 189.062 nell’ul- timo decennio. E l’esodo verso la Svizzera continuerà senza posa fino a toccare più di 90.000 unità nel solo 1913, l’anno record dell’emigrazio- ne italiana nel Mondo con 872.598 espatri. Gli emigrati degli altri Paesi, soprat- tutto di quelli ricordati sopra, sape- vano leggere e scrivere, avevano già un mestiere, partivano anche come nuclei familiari e, quasi sempre, tro- vavano delle organizzazioni nazio- nali pronte a dirigerli e ad assisterli nella loro difficile prima sistema- zione all’estero. Gli italiani, invece, quasi tutti uomini, erano, come rife- riscono le cronache dell’epoca, « trop- po poco istruiti, quasi sempre rozzi ed ignoranti », e portavano all’estero « quell’abbandono, quella ruvidezza esterna che è propria dei popoli poco progrediti e mancano di fierezza mo- rale », erano, insomma, dei « disereda- ti » e degli « illusi », soggetti ad essere sfruttati. Dall’Italia si partiva alla ventura e con troppa faciloneria. Ci si mette- va in cammino verso destinazioni a volte senza nemmeno avere la cognizione della distanza, della diffi- coltà linguistica, della impossibilità di trovare lavoro. Non tutta l’emi- grazione italiana era, comunque, costituita da persone che partivano a casaccio. Verso la Svizzera, per esempio, esisteva un contingente migratorio che periodicamente veni- va dall’Italia e vi ritornava a epoche fisse, proveniente soprattutto dalle province lombarde, piemontesi e venete. Erano emigranti che si reca- vano nei vari Cantoni a « fare la sta- gione » per poi ritornare a casa « con di Tindaro Gatani La Rivista Cultura La Rivista · Dicembre 2022 67
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