La Rivista

Lei: Grazie a Lei e arrivederci, signore. Il panino era buono, ho pagato e, uscendo, ho salutato di nuovo la ra- gazza con un cenno del capo. Le ho anche fatto un sorriso. È bello sentir- si un personaggio da manuale. Accorciamo le distanze Qualche giorno dopo sono entrato in negozio specializzato nella vendi- ta di prodotti gastronomici italiani. Nel locale ci sono anche dei tavolini che permettono una consumazione veloce di panini o altro. Il personale è italiano ed è composto da un giovane trentenne, probabilmente salentino, e due ragazze ventenni, rispettivamen- te con un marcato accento siciliano e con un’inflessione nordica indefi- nibile. Non parlano tedesco, con la clientela utilizzano solo l’italiano. Per fortuna gran parte degli svizzeri di lingua tedesca che frequenta questo tipo di negozi ha almeno una rudi- mentale conoscenza della nostra lin- gua utile per l’acquisto di prosciutti, salami, formaggi, panettoni e tanto altro ancora. Mi sono avvicinato al bancone e il ragazzo salentino mi ha salutato con un ciao , come se fossi un suo grande amico. Ho risposto con il classico buongiorno e gli ho chiesto alcune informazioni sulla possibilità di mangiare velocemente qualcosa di piccolo nel locale. Ho usato il Lei . La ragazza siciliana, vicino al collega salentino, ha iniziato a elencarmi le prelibatezze offerte dal negozio: pani- ni con la porchetta toscana, focacce liguri e pugliesi, cannoli siciliani, ecc. Si rivolge a me con il tu , forse asso- miglio a suo padre o suo nonno. Dopo l’ordinazione ho preso posto a un tavolino e mi sono messo ad ascoltare i dialoghi tra il personale del negozio e la clientela. Ci tengo a precisare una cosa: tutti e tre sono stati molto gentili con me, ma nella mezz’oretta in cui sono stato nel negozio ho osservato uno strano fenomeno comunicativo. Con la clientela non di lingua italiana le due commesse e il commesso parlavano in italiano, usando correttamente il Lei . La clientela femminile veniva accolta anche con un elegantissimo Buongiorno , madame . Con i pochi clienti italiani, invece, passavano subito al tu . Posso ipotizzare che questa discre- panza comunicativa sia attribuibile a un bisogno, inconscio, di rimarcare una comune appartenenza culturale e linguistica tra “paesani”. L’elimi- nazione di certe formalità dovrebbe contribuire alla creazione di un clima familiare. Con gli stranieri, invece, il Lei dovrebbe servire a segnare una certa distanza. Si tratta, comunque, di una tesi che meriterebbe ulteriori approfondimenti sociolinguistici. Pi della grammatica possa la buona educazione Ecco, l’idea di scrivere questo articolo mi è venuta proprio in que- sto locale. Personalmente non amo i formalismi inutili, ma sono anche convinto che ci siano delle situa- zioni in cui è necessario mantenere una certa distanza con chi ci parla. Nei negozi e negli uffici pubblici o privati l’uso reciproco del Lei (o del Voi ) tra persone che non si conosco- no è per me un segno di rispetto. E poi vorrei essere io a scegliere a chi dare del tu , non voglio che mi venga in qualche modo imposto da una persona sconosciuta. Insomma… sono un uomo, sono un padre, sono italiano, amo la mia lingua e vorrei un maggiore uso di Lei nei miei confronti. Il pronome femminile alla terza persona sin- golare si può usare senza problemi anche con i maschi. Se si deve dire a una donna Signor Presidente , perché non si può più dire Lei, signore ? La grammatica, qui, non c’entra nulla, si tratta invece di semplice buona educazione che viene ancora inse- gnata almeno nei manuali. La Rivista · Dicembre 2022 53

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