La Rivista

aumento delle esportazioni per 70 miliardi di euro (53 miliardi per la sola componente dei beni). Ma ora si registra una decelerazione del com- mercio internazionale a causa della guerra russo-ucraina. L’Italia sembra avere già iniziato a perseguire una propria strategia di friend-shoring intensificando gli scambi con i Paesi europei, con l’area nord-america- na e con i Paesi del Mediterraneo. Tra gennaio e luglio di quest’anno, l’export di merci verso l’Ue e il Re- gno Unito è aumentato del 22,9% rispetto allo stesso periodo del 2021 e quello verso i Paesi Nafta (Canada, Stati Uniti e Messico) del 31,0%. Su 364,4 miliardi di euro di esportazioni italiane nel mondo, relative ai primi sette mesi di quest’anno, il 78,8% è di tipo friend-shoring . Considerando l’area del Mediterraneo, si aggiungo- no altri 23 miliardi, con un aumento del 30,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La ristrutturazione del sistema d’impresa accelerata dalla crisi energetica A causa del caro-bollette, si sti- ma che 355.000 aziende (l’8,1% delle imprese attive) potrebbero subire un grave squilibrio tra costi e ricavi. La gran parte (l’86,6%) si colloca nel terziario, una parte minore (il 13,6%) nel settore industriale. Le criticità interessano 3,3 milioni di addetti (il 19,2% del totale), di cui il 74,5% nel settore dei servizi (2,5 milioni di ad- detti) e il 25,5% nell’industria (850.000 addetti). Se si verificassero gli esiti già osservati nelle passate ondate di crisi, sarebbero ancora una volta le microimprese a soffrire di più. Tra il 2012 e il 2020 le imprese attive si sono ridotte di 15.000 unità. Il saldo negativo deriva dal calo nella clas- se di addetti fino a 9 unità (-18.115), mentre le altre classi dimensionali presentano, all’opposto, saldi positivi, soprattutto nella dimensione 50-249 addetti (+2.225 imprese). Il banco di prova della Pa, tra iniezioni di risorse umane e impulso al rinnovamento L’occupazione nel settore pub- blico (3.249.000 dipendenti) si è ri- dotta negli ultimi vent’anni di quasi 260.000 lavoratori. Siamo passati da 61,7 dipendenti pubblici ogni 1.000 abitanti nel 2002 al minimo regi- strato nel 2013 (53,6 per 1.000), fino ai 55,1 ogni 1.000 residenti nel 2021. La Pubblica Amministrazione ha dunque dovuto far fronte alle esigen- ze di cittadini e imprese con minori forze. In Italia il 13,7% degli occupati è impiegato dalle amministrazioni pubbliche, ma in Francia il 19,7%, in Spagna il 16,9% e nel Regno Unito il 16,4% (solo in Germania il rapporto è inferiore: l’11,1%). Nell’ultimo anno il costo del personale dipendente della Pa è stato pari a 166,8 miliardi di euro, ovvero il 10% del Pil. L’età media dei dipendenti pubblici sfiora i 50 anni: 6,5 anni in più rispetto al 2001. Attualmente il personale con 55 anni e oltre costituisce il 36,7% del totale e ‒ un dato ancora più preoccupante ‒ quello con meno di 35 anni è ridotto a circa il 10%, meno della metà rispetto al 2001. Anche l’anzianità di servizio media è au- mentata negli ultimi vent’anni: da 16,5 a 17,5 anni. Grazie alle recenti stabilizzazioni del comparto scuola è aumentata la quota del personale con meno di 5 anni di anzianità di servizio (il 25,8%), ma si tratta per lo più di precari di lungo corso inseriti stabilmente in una macchina pub- blica fortemente senilizzata. Una spinta dall’oligarchia tecnocratica Il personale dirigente della Pub- blica Amministrazione, dopo il mini- mo toccato nel 2017, si attesta oggi a 193.000 persone, il 3,5% in più rispetto al 2011 (mentre nello stesso periodo il resto del personale della Pa dimi- nuiva dell’1,5%). Si conta un dirigente ogni 16 dipendenti pubblici. Si nota però un progressivo invecchiamen- to. Aumentano sia i dirigenti over 55enni (dal 41,0% del totale nel 2011 al 44,2%), sia nella fascia intermedia di 35-44 anni (dal 17,1% al 21,7%). Negli ultimi anni però sono in leggero au- mento i giovani dirigenti, con meno di 35 anni (dal 2,5% del totale nel 2011 al 3,8%), rimanendo tuttavia mosche bianche all’interno della Pa. Aumen- tano i dirigenti con alte competenze, acquisite attraverso percorsi di spe- cializzazione post-laurea e dottorati di ricerca, che pesano per il 46,7%. Nonostante sia ancora residuale la quota di cittadini che ritengono che la Pa funzioni molto bene (il 3,4%), è aumentata la quota di quanti si di- chiarano parzialmente soddisfatti (il 40,2%). Ma oltre la metà degli italiani (il 51,5%) si dichiara ancora insoddis- fatta. I principali motivi che causa- no il cattivo funzionamento della Pa, secondo i cittadini insoddisfatti, sono l’eccesso di burocrazia (31,4%), la scarsa motivazione del personale (29,2%), la cattiva organizzazione (17,5%) e l’interferenza della politica nelle nomine dei dirigenti (12,9%). Il 6,3% degli insoddisfatti indica come motivo principale del cattivo funzio- namento della Pa il ricorso ancora limitato alle tecnologie digitali. La Rivista · Dicembre 2022 36

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