La Rivista

occhio e croce anche la quantità e qualità dei luoghi in cui si celebra il rito gastronomico sembrerebbero piazzare il capoluogo emiliano ben in alto in un’ideale classifica dei templi del cibo e del vino. Non ci sono più (ma soprattutto non sono più le stesse) le “osterie di fuori por- ta”, ma l’offerta cittadina denota un buon mix fra retaggio tradizionale e sperimentazione. Qua e là sembra di essere a Madrid, o a Lisbona: come nei ristorantini-bistrot ricavati nel Mercato delle Erbe. E poco importa se nei dintorni di via Zamboni, o nelle piazzette dove i tavoli all’aperto resistono fino a inverno inoltrato, i cartelli acchiappa-studenti offrono caraffe di spritz a 10 euro al litro (“8 la seconda”). Ce n’è per tutti; e d’altra parte, sfamare, dissetare e soddisfare la voglia di socialità di un esercito di ventenni richiede un’infrastruttura enorme, e anche gli spacciatori di Spritz di non eccelsa qualità trovano il loro posto nell’ecosistema. A proposito di gastronomia, sono in molti a chiedersi se avrà esito felice il tentativo di creare in periferia una “cittadella” per promuovere il patri- monio agroalimentare italiano. È il “Fico”: abbreviazione di Fabbrica Ita- liana Contadina. Una specie di parco tematico-didattico-ludico, con risto- ranti e botteghe annessi. Proviamo a sollevare l’argomento mentre siamo a cena da Trebbi, una delle trattorie tipiche bolognesi, tre quarti di secolo di storia alle spalle, e scopriamo che l’esperimento non è ben visto dai ristoratori locali. Forse timorosi che la “fabbrica” porti via clientela dai locali del centro; forse semplicemen- te scettici davanti alle “americanate” (cit.). Ma in fondo, un’occhiata alle ghiottonerie che riempiono le ve- trine e i banconi delle botteghe del Quadrilatero – il “Mercato di mezzo”, fra piazza Maggiore e le due torri – non potrà che rassicurare chi abbia qualche dubbio sul futuro del settore e sulla persistenza della qualità dei prodotti. Che decennio dopo decen- nio sembra essere immutata. Fico o non Fico, in fondo, poco im- porta. La Rivista Il Belpaese Un dettaglio del Compianto sul Cristo morto di Niccolò dell’Arca nella chiesa di Santa Maria della Vita, forse la più celebre opera d’arte conservata in città. Echi della drammatica attualità internazionale in un manifesto affisso alla base delle più note delle torri Bolognesi, la Garisenda e la torre degli Asinelli. La Rivista · Dicembre 2022 31

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