La Rivista
La Rivista Editoriale Ecco pertanto che, al di fuori del perimetro geografico, nel quale, quasi fatalmente, speriamo resti confinata la guerra guerreggiata, rimbalzano segnali di inquietudine, di insicurezza, di continua tensione naturalmente enfatizzati dall’invasione in Ucraina. Che aumentano i divari sociali. Che ci parlano di un’Europa in cui i principi costitutivi (come le foglie d’autunno) sono messi in di- scussione. In cui il rischio di apatia e di assuefazione nei confronti del disagio e della sofferenza altrui, del fanatismo religioso, dell’af- fermazione di nuovi e vecchi totalitarismi, della repressione e della violazione dei diritti umani e civili è reale. Quella che emerge dai rapporti di fine d’anno, nel nostro piccolo mondo, a quanto pare non ancora sufficientemente antico, è un’umanità che sembra arrendersi alla rassegnazione. Spaurita. Costretta, suo malgrado, a fare i conti con le proprie fragilità, che per molti, troppi, sono il derivato di endemica povertà. In questo scenario - nel quale i mondiali di calcio e le vicende collegate al Qatar non hanno rappresentato che effimera e talvolta strumentale distrazione - è difficile immaginare come e dove recu- perare energia e stimoli per elaborare e metabolizzare i molteplici lutti. Senza rifugiarci nella nostalgia, che può essere consolatoria, ma rischia di pietrificarci la vita, ci induce a distogliere lo sguardo e consolida un senso di impotenza. Drammatico pensare che si possa ripartire da un bagno di sangue, non solo in senso metaforico. Quello che sta succedendo in Iran (per quanto ancora?) è testimonianza che le rivoluzioni, come tutti i cambiamenti hanno bisogno di giovani. Soggetti che scarseggiano nelle nostre società evolute, o presun- te tali. In cui per fortuna stiamo riuscendo a ritardare la morte, ma fatichiamo a creare i presupposti per far sì che, alzandosi al mattino, anche solo per non spegnersi dentro, l’umanità intera – mutuando ancora Ungaretti – possa dire ‘ m’illumino d’immenso’ . L ’ aforisma, va da sé, è poetico. Ermetico nella forma, è folgorante nel messaggio. Difficile emularlo. In otto parole descrive l’umana condizione. Certo, non la nostra. Per quanto fisiologicamente transitoria e temporanea è, ancora, quella di persone che il caso ha voluto nascessero e vivessero in un luogo dove la democrazia resta inequivocabilmente il meno peggio, pertanto indiscutibilmente il migliore, dei regimi, in un’epoca in cui, almeno così pensavamo fino al 24 febbraio scorso, la guerra era un’eco lontana o comunque ben custodita nei libri di storia. Insomma, fatte salve quelle che al momento possiamo ancora ritenere eccezioni relativamente circoscritte, nulla di paragonabile alla condizione di coloro che questi versi hanno ispirato. Soldati, in una trincea in Francia durante la Prima Guerra mondiale, dei quali Giuseppe Ungaretti, con la dirompente forza evocativa della parola, fotografa la fragilità e la precarietà dell’esistenza. Che, in quel momento, era anche sua. Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie. Èd è subito poesia. Ed è anche consapevolezza. Che ci induce oggi in riflessione. Forse perché si chiude un anno. E di solito questa è l’occasione per abbozzare dei bilanci: pendant per l’auspicio che quello che verrà sia migliore, carico di soddisfazioni e, per quanto possibile, di felicità. O forse, e parmi più probabile, perché quello che ci lasciamo alle spalle è un anno in cui quella sensazione di fragilità e di precarietà, seppur indirettamente, l’abbiamo realmente percepita. Provati dall’esperienza di una pandemia - con la quale, pare, stiamo imparando a convivere grazie all’efficacia dei vaccini e ai rimedi della scienza - siamo confrontati con accadimenti che fortemente ci fanno dubitare che sicurezza e libertà siano per noi conquiste irreversibili. La guerra - che alle nostre latitudini, abbiamo dato per scontato fosse sigillata nei capienti archivi della storia e non è più un ricor- do di nobili sopravvissuti, o il pretesto narrativo di cronache dai paesi lontani - è entrata prepotente e delirante nella nostra quoti- dianità. Ma, soprattutto, in quella di decine di milioni di uomini donne e bambini - che, complice anche l’avanzare del ‘generale inverno’, ne sono tragicamente coinvolte - delle quali possiamo solo immaginare l’immane sofferenza. La paura, il panico, l’incertezza e l’insensatezza sono i nemici in un conflitto – assurdo ben oltre i suoi faziosi distinguo interpretativi - di cui prendiamo atto soprattutto perché, al momento, ne subiamo le sole conseguenze indirette. Che si chiamano crisi energetica, caro bollette, inflazione, flussi migratori. Giangi Cretti Direttore gcretti@ccis.ch 1 La Rivista · Dicembre 2022
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