La Rivista

debba avere innanzitutto una buona apertura mentale, accompagnata da una gran voglia capire chi si trova di fronte in classe, e delle capacità co- municative. Una certa dose di autoi- ronia e un pizzico di umiltà non gua- sterebbe affatto. Vorrei anche che il docente fosse in grado di mettere in discussione, in ogni momento, il proprio sapere attraverso lo studio interdisciplinare della propria mate- ria e il dibattito con i propri alunni. Una semplice soluzione di ripiego a fronte di fallimenti didattici? Infine, mi chiedo anche questo: quante persone hanno scelto ve- ramente di intraprendere questa professione come prima scelta? La mia sensazione è che in molti casi si sia trattato di un semplice ripiego, magari dopo aver tentato altre vie professionali, fatto senza troppa con- vinzione. Scrivendo queste cose mi vengono in mente soprattutto le parole di Pie- ro Angela, il grande maestro di di- vulgazione scientifica recentemente scomparso. Basterebbe leggere i suoi libri e ascoltare le sue trasmissioni per capire l’approccio che dovrebbe avere un bravo insegnante. Ma posso permettermi proprio io, proveniente da un’altra cultura scolastica (quella italiana) piena di enormi lacune di ogni tipo, di poter criticare un sistema educativo di successo come quello elvetico? Evi- dentemente no, ma per fortuna ogni tanto ci pensano i miei colleghi sviz- zeri a farlo. « Sono stato per tre settimane in va- canza nella Svizzera francese. Tutto molto bello, ma ho avuto difficoltà a comunicare con le persone. Anni di francese a scuola e non sono serviti a nulla! Odiavo il francese a causa del mio insegnante fissato con i voti per la pagella e non sapeva nulla né della Francia né della Svizzera romanda! Alla fine, abbiamo usato l’inglese. In qualche modo ci siamo capiti. Ma è incredibile vedere quan- ti anni abbiamo passato inutilmente a cercare di imparare, a memoria e senza entusiasmo, paroline di un manuale solo per far passare un’o- ra tranquilla al nostro insegnante. Sono passati anni e nulla è cambiato da allora. Quell’insegnante si trova ancora là a fa le stesse cose di sem- pre in attesa di andare in pensione tra pochi anni », mi confida Hans, un insegnante di disegno tecnico in una scuola professionale della Sviz- zera tedesca. Io sono quasi sicuro che chi sostitui- rà questo docente di francese non farà altro che continuare nella stes- sa direzione tracciata da decenni di insegnamento/apprendimento delle lingue nel nostro sistema scolastico, fatto sempre con gli stessi obiettivi: esami, voti e selezione scolastica dove, alla fine, ciascuno trova la pro- pria strada professionale. Al di là della bella retorica sul plu- rilinguismo e sulla superiorità del sistema educativo elvetico rispetto a quello di altri Paesi, quando si parla di “mancanza di insegnanti” non si potrebbe finalmente considerare seriamente l’attitudine e l’aspetto culturale di coloro che, per qualche motivo, decidono di intraprendere una professione delicata come quel- la dell’insegnante? Perché storie come quelle di Hans, in Svizzera, ce ne sono tantissime e non credo che ci si possa vantare molto per questo tipo di fallimenti didattici. Un buon insegnante dovrebbe avere innanzitutto una buona apertura mentale, accompagnata da una gran voglia capire chi si trova di fronte in classe, e delle capacità comunicative (nella foto una scena del film L’attimo fuggente di Peter Weir, (USA 1989) con Robin Williams) La Rivista · Settembre 2022 55

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