La Rivista

alla gratificazione del tutto e subito favorita dal consumismo sfrenato e dalle tecnologie che esaltano i risul- tati immediati e rapidi. L’amore per il proprio lavoro da cosa dipende? Di fatto sono ancora oggi molti i lavori che è forse impossibile amare. Coloro che per pochi soldi si muo- vono nel traffico cittadino per con- segnare pasti a domicilio oppure gli operai che raccolgono i nostri rifiuti, oppure ancora le persone addette a lavori agricoli usuranti, probabil- mente non vedono l’ora che la gior- nata lavorativa finisca. Ciò detto, per non amare il proprio lavoro non è neanche necessario che si tratti di attività umili e di poco prestigio. I celeberrimi Henry et Meghan hanno mostrato al mondo intero di detestare il lavoro sognato da buona parte dell’umanità: quello di fare i principi e i rappresentanti della famiglia reale inglese. All’op- posto, possiamo incontrare persone che fanno lavori considerati usu- ranti e spesso ingrati con dedizione e persino passione. Penso a tante insegnanti di quartieri difficili, a badanti che affrontano con il sorriso l’assistenza quotidiana ad anziani, ad agricoltori che non demordono malgrado le avversità climatiche, a muratori orgogliosi della qualità dei loro muri, a pescatori e allevatori che considerano un privilegio poter ope- rare in spazi aperti. Perché mai un pastore può essere felice di occuparsi delle sue pecore e invece un principe si dimostra insoddisfatto del suo ruolo? Sono in gioco sicuramente molti fattori. Pri- mo Levi risponderebbe che l’amore oppure l’odio per il “ mestiere ” molto dipende dalla storia dell’individuo e meno di quanto si creda dalle condi- zioni oggettive del lavoro. Aggiunge- rei però che dipende altresì dal con- testo socio-culturale dell’epoca, nel quale può predominare il vento della fiducia in un futuro migliore (come nel secondo dopo guerra) oppure può essere oscurato da nuvole minac- ciose (pandemie, crisi economiche, ideologie distruttive). Chi sono dunque oggi i privilegiati? Dal punto di vista della qualità della vita, oltre all’eterno dualismo ric- chi/poveri esiste attualmente un altro dualismo carico di conseguenze. Da un lato ci sono i gruppi che ri- cavano dal lavoro soddisfazione e prestigio sociale. Che si identificano appieno con attività che non solo danno loro da vivere, ma che costi- tuiscono l’essenza della loro identità positiva. Anzi, che desiderano essere attivi fino alla morte. Troviamo in questa categoria artisti, scrittori, giornalisti, studiosi, imprenditori, politici… Dall’altro, esistono altri gruppi so- ciali per i quali il lavoro continua ad essere un’esperienza di fatica e di frustrazione quotidiana. Mentre que- sti attendono la pensione come una liberazione e sono sensibili al canto delle sirene politiche che promet- tono loro di battersi per pensiona- menti ravvicinati nel tempo, i primi vivono l’esclusione dal loro universo lavorativo come una minaccia esi- stenziale e un evento da rinviare il più lontano possibile nel tempo. In una ricerca che sto conducendo con colleghe di istituzioni accademiche della Svizzera romanda sulle attività dei senior dopo l’età canonica del Una delle espressioni più alte della natura umana: la possibilità di migliorarsi ogni giorno, anche usando il lavoro come mezzo di realizzazione individuale e sociale La Rivista Elefante invisibile 1 La Rivista · Settembre 2022 29

RkJQdWJsaXNoZXIy MjQ1NjI=