La Rivista

Cosa si intende per lavoro? In prima approssimazione si può dire che lavorare significa investire tempo ed energie per compiere qual- cosa che richiede un certo impegno e che riveste una qualche utilità in- dividuale o collettiva al fine di procu- rarsi il necessario per vivere. Questo qualcosa può essere il frutto di lavoro retribuito (dipendente o autonomo, fisso o saltuario) o non retribuito (come gran parte del lavoro tra le mura domestiche o le varie forme di volontariato). Dal punto di vista eti- mologico l’origine della parola lavoro è ricondotta in generale al latino la- bor che significa fatica. Ancora oggi in alcuni dialetti regionali si usano espressioni come andare a faticare . Nel dialetto piemontese nel quale sono cresciuta lavorare si dice “ tra- vaillé ”, come in francese, parola che è storicamente collegata alla sofferen- za (da notare che in francese come in italiano si parla del parto come “ travail ” rispettivamente “travaglio”). È l’immagine del lavoro ereditata dal passato, il retaggio di occupazioni miserevoli e servili che hanno carat- terizzato la storia dell’umanità, dallo schiavismo alla condizione di alie- nazione operaia e abbrutimento delle catene di montaggio della prima ora genialmente parodiata da Chaplin nel film Tempi moderni . Ma allora come mai in molti paesi vi è la festa del lavoro? Come mai l’ar- ticolo 1. della Costituzione italiana afferma solennemente che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro? Stuoli di storiografi, sociologhi, giu- risti, economisti, filosofi e letterati hanno approfondito la materia da diversi punti di vista. La consape- volezza dei miei limiti tiene lontana da me la tentazione di proporne una qualche sintesi. Non rinuncio però a due commenti. L’articolo 1. ricono- sce solennemente il valore storico e sociale del contributo dei cittadini e cittadine alla produzione della ricchezza del Paese e al progresso individuale e collettivo. In effetti, la ricchezza per essere equamente dis- tribuita va prima creata. Inoltre, mi viene da citare la celebre terzina di Dante nella quale Ulisse sprona i suoi compagni a continuare il viaggio oltre le colonne d’Ercole “ Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza ”. Parole che lette in un’ottica odierna ci incitano a perseguire una delle espressioni più alte della natura umana: la possibilità di migliorarsi ogni giorno, anche usando il lavoro come mezzo di realizzazione indivi- duale e sociale. Visione questa più vicina allo spirito del protestantismo che considera storicamente il lavoro come condizione di libertà, dignità e di autonomia per le persone, in con- trapposizione con il pensiero catto- lico tradizionalistico più impregnato di una visione delle fatiche quotidia- ne come condizione a cui rassegnar- si. Rimanendo su un terreno laico è comunque innegabile la positività di una visione del lavoro come mezzo di crescita personale, economica e culturale e non di alienazione. Come agire? Sul piano politico occorre- rebbe il coraggio di farne la priorità delle priorità (malgrado l’approccio assistenziale paghi di più in termini di consensi elettorali). Sul piano educativo servirebbe una maggiore attenzione a valori e obiettivi forieri di soddisfazioni a medio e lungo termine, contrastando la tendenza È l’immagine del lavoro ereditata dal passato, il retaggio di occupazioni miserevoli e servili fino alla condizione di alienazione operaia e abbrutimento delle catene di montaggio genial- mente parodiata da Chaplin nel film Tempi moderni . La Rivista · Settembre 2022 28

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