La Rivista

fieno falciato mesi prima. Nasce- vano quindi formaggi in grado di alimentare a lungo le famiglie, per- ché si poteva, in ambienti naturali, grotte, cantine o altri siti mantenerli commestibili a lungo. I formaggi freschi o di breve stagionatura, però, quasi non esistevano. Non c’erano i presupposti per conservarli, o me- glio poteva avvenire esclusivamente in quei luoghi dove le grotte sosti- tuivano le attuali celle frigorifere. Giocoforza, prevalevano i formaggi d’Alpe, quei formaggi la cui cagliata poteva essere tagliata finemente e cotta, conservando al suo interno un po d’acqua con lo scopo di avviare una stagionatura lunga . Transumanza Nel territorio alpino si allevano vacche, così come capre e pecore, ma la vera economia è sempre sta- ta rappresentata dal latte vaccino. Proprio grazie alla monticazione e ai pascoli l’uomo del nord ha dato vita a quella che nel centro dell’Italia chiamano transumanza. I bovini in inverno venivano allevati nelle stalle, piccole o medie, e in estate monticavano nelle malghe, laddove le lattifere si alimentavano al pasco- lo e il casaro produceva il formaggio. Attività non dispendiosa, grazie alla gratuità delle erbe selvatiche, e ba- silare per l’allevatore, che poteva, in assenza di una stalla da organizzare, occupare il proprio tempo per fare il formaggio necessario per l’ali- mentazione invernale. Tutto ciò ha permesso all’uomo di stabilire delle regole casearie basate su un’unica problematica: la programmazione del proprio sostentamento. Co sì in queste regioni si utilizzava parti- colarmente il burro, energetico per tutte le stagioni. Tant’è, che il latte veniva scremato per ricavare la pan- na per il burro. Da qui il perfeziona- mento della tecnologia dei formaggi semigrassi, imperante in tutto l’arco alpino, dal Fromadzo in Valle d’Aosta, al Montasio in Friuli. Un retaggio che oggi consente di trovare tanti formaggi a pasta semigrassa e comunque formaggi a pasta molle, magari con crosta lavata, peculiarità che li preserva da contaminazioni e li fa maturare più velocemente, op- pure erborinati. “Di bocca buona” La tradizione casearia alpina non disdegna però neanche il latte di capra per ottenere formaggi a coagulazione lattica o presamica di piccola pezzatura, solitamente da consumare freschi, oppure a diversi livelli di media stagionatura. Le ca- pre in montagna trovano un ambien- te naturale particolarmente idoneo per le loro necessità vitali. Mentre la vacca si alimenta solo con le erbe fre- sche spontanee e di affienati, la capra “ è di bocca buona ”. Mangia erbe fre- Caseificio altoatesino La Rivista · Marzo 2022 92

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