La Rivista

sedimentare e a fissare la composi- zione in una forma predefinita. Tutti i brani di Underwater sono nati così, da un momento di creatività, che in un secondo momento ho rielaborato. Non troppo, ci tengo a precisarlo, perché non volevo perdere quella natura libera di una cosa che nasce in un determinato momento, con le sue particolarità e le sue imper- fezioni. Nella realizzazione di una seconda o una terza versione spesso si rischia di perdere parti di quella iniziale. In questo caso, invece, sono stato molto attento nell’ascoltare tutte le versioni per cercare di conservarne gli elementi che avevo esplorato nella prima stesura. È già suc- cesso in passato di aver perso di vista un dettaglio, e riascol- tando il brano magari due anni dopo mi sono pentito di avere apportato delle modifiche o di aver tralasciato tale dettaglio. Ma anche dopo una registra- zione i propri brani continuano a vivere. Può capitare, ad esem- pio, che durante un concerto aggiungo delle variazioni che spuntano in quel determinato momento ... ... legate al luogo stesso oppure al pubblico presente? Assolutamente sì. Magari duran- te un concerto mi viene fuori una cosa nuova, una variazione che ag- giungo in coda ad un brano e poi, se mi piace, decido di suonarla per un periodo negli eventi seguenti. Può anche capitare che con il tempo il brano stesso subisca delle importan- ti variazioni, diventando una nuova versione che mi fa dimenticare la prima. Non è raro che un brano nel tempo subisca delle nuove fioriture basate proprio sull’improvvisazione. Il pianista finlandese Iiro Rantala qualche anno fa ha detto in un’intervista rilasciata ad un giornale svizzero di musica jazz che Johann Sebastian Bach fosse stato il primo jazzista in assoluto per il semplice fatto che abbia improvvisato prima di scrivere. Che sentimento suscita quest’affermazione in lei? Quello di Bach è un linguaggio in un certo senso codificato. Raccoglieva tutto quello che era stato fatto prima di lui, una sintesi della sua epoca. Un lavoro che è stato eseguito in maniera molto sistematica, una cosa impressionante. Parlando di Bach ovviamente è opportuno accennare ai pianoforti. Lei, a quanto pare, predilige lo Steinway. Come mai questa scelta? Diciamo che in tutti questi anni ho trovato nello Steinway la mia voce. La natura parte da me, ed è il pianoforte ad accompagnarmi nei miei numerosi viaggi. Nel 2022 è prevista una tournee per il mondo. Farà tappa in Svizzera? Al momento non le so dire. Co- munque ci tengo a sottolineare che amo molto la Svizzera come paese. Sarà una cosa banale da dire ma ha una natura favolosa che anch’io ho vissuto, pratica- to ed esplorato. Quando ne ho l’occasione, sono sempre molto contento di esplorarla, di appro- fondire le arti e la letteratura svizzera. Ho un ricordo fanta- stico di un concerto eseguito al Festival di St. Moritz qualche anno fa sul lago di Staz. Era una sera di luglio con un tra- monto bellissimo. La gente si avvicinava al palco dopo una passeggiata, si sistemava sulla collinetta adiacente, tutto in modo molto informale. Era una situazione magica. La Rivista Musica e spettacoli Info: Ludovico Einaudi – Underwater (Decca) Per foto Ludovico Einaudi ©Ray Tarantino La Rivista · Marzo 2022 81

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