La Rivista
desiderio di fare un album da solista ce l’avevo comunque nella testa da un po’. È anche vero che se avessi voluto fare un album con un’orche- stra in quel periodo, sarebbe stato complicato. Forse si può dire che il desiderio è nato da questa sensazio- ne di quiete e introspezione che ho vissuto, in cui l’idea di dialogare con il pianoforte da solo coincideva per- fettamente con tutte le mie necessi- tà espressive e artistiche. Underwater è un disco intimo, in un certo senso malinconico e pensieroso ... ... è sicuramente un disco, come dice lei, intimo, ma non lo sento così malinconico. Poi la malinconia è un aspetto che in qualche modo pervade sempre la mia musica. Co- munque, vorrei evitare di attribuire tristezza alla malinconia. Di certo la malinconia può avere una luce positiva dentro. La mia non è una malinconia depressa. Il 70 percento del nostro pianeta è composto di acqua. Gli oceani sono parzialmente inesplorati. Underwater può essere considerato come la ricerca di qualcosa di sconosciuto? È un’immersione in qualcosa che non conosciamo, una dimensione sommersa che percepiamo in un modo nuovo, una realtà parallela verso l’interno, se vogliamo. Di solito tutto è rivolto verso l’esterno. In Un- derwater , invece, c’è molta introspe- zione. Sono riflessioni su una nuova dimensione. Lei adora scattare fotografie, in altre parole, catturare del- le determinate situazioni. La musica invece è fluida, non è mai fissa. Visto da quel punto, la fotografia e la musica sono due discipline contrastanti. E lei si occupa sia dell’una che dell’altra. Sì, è vero, sono due forme diver- se. La fotografia è importante, perché fa ricordare una determinata situa- zione o vicenda. A volte mi stupisco di dimenticare delle cose che ho vissuto o fatto, oppure dei pensieri che ho avuto; sostanzialmente, tutto quello che non si ferma su carta o su una fotografia, rischia di scomparire. Già degli eventi che magari avevo vissuto pochi anni prima, nel frat- tempo sono diventati estremamente confusi e arbitrari nella memoria. Non ci si ricorda veramente di cose avvenute due anni prima. Anzi, cose che accadono oggi possono cancel- lare quello che c’era prima. Capita persino che durante un concerto improvviso qualcosa, che però poi scompare per sempre, perché suc- cessivamente l’ho dimenticato. È un peccato, perché mi sarebbe piaciuto conservarne il ricordo. Lei ha accennato all’improvvisazione, una metodica che solitamente è utilizzata nel contesto del jazz. Le sue composizioni, tuttavia, vengono prevalentemente attribuite al genere classico. L’improvvisazione è una parte fondamentale del processo di com- posizione. C’è un impulso immediato in cui la mente si collega al gesto e lo rende reale. A partire da lì ci sono una serie di passi che portano a La Rivista · Marzo 2022 80
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